E’ una della poche attrici che riesce a toccare le più svariate corde emotive, passando dal comico al tragico attraverso l’emozione di uno sguardo o di un gesto. Stiamo vedendo al cinema in questi giorni Paola Minaccioni (foto nell’articolo di Francesca Lucidi) in “Ma cosa ti dice il cervello”, il nuovo film di Riccardo Milani con Paola Cortellesi che racconta i vizi e le virtù di tutti noi. È un’attrice divertente e tanto comunicativa in ogni sua performance. La sua vera passione è il teatro, ma la tv e il cinema le hanno dato nel corso degli anni molte soddisfazioni regalando al pubblico un susseguirsi di emozioni. Ne abbiamo parlato con lei.
Paola, ti vediamo nel nuovo film di Riccardo Milani. Per quali motivi hai detto sì a “Ma cosa ti dice il cervello”?
“Innanzitutto perché la “ditta” Cortellesi – Milani è la punta di diamante della commedia contemporanea italiana e mi è sempre piaciuto tutto quello che hanno realizzato insieme. La sceneggiatura contiene tutte le qualità della popolarità, dell’intelligenza e dell’ironia, oltre a un personaggio – il mio – davvero molto ben scritto”.
Ci racconti un po’ del suo personaggio?
“La signora Ruggero è un personaggio catartico che permette di interpretare tutto quello che di fatto non piace di noi stessi e degli altri. E’ un ruolo molto divertente e molto contemporaneo, anche se negativo ma portatore di attente riflessioni”.
Il film porta alla luce i vizi e le virtù di tutti noi e di un Paese che comincia a sentire il bisogno di svegliarsi da un letargo durato troppo a lungo. Nel 2019 da cosa dovremmo svegliarci secondo te?
“Dovremmo smettere di essere consumatori di informazioni generiche e non approfondite, dovremmo dire basta agli slogan populisti e cercare di avere più notizie possibili per riuscire ad avere un punto di vista personale. Ritengo che dovremmo svegliarci da questo clima di odio in cui viviamo perché di fatto la rabbia e le forzature non saranno mai delle soluzioni”.
Sei un’attrice che spazia in diversi campi artistici, ma cosa significa essere un’interprete negli anni in cui stiamo vivendo?
“Si deve sempre essere un interprete del proprio tempo, ovvero essere uno strumento che risuona riportando emozioni, messaggi, risate e lacrime che rappresentino il mondo contemporaneo. Noi attori abbiamo la fortuna di sintetizzare l’esistenza, mostrando la realtà che ci circonda e i fatti che – chi in maniera più esplicita e chi meno – viviamo, ma non tutti hanno la possibilità di assaporarli come invece facciamo noi”.
Perché hai scelto proprio questo mestiere?
“In realtà, è stato più lui a scegliere me. Non avrei mai pensato di fare l’attrice. E’ successo alle superiori che io capitassi molto spesso al centro dell’attenzione con l’imitazione dei professori, la cosa mi rendeva felice. Un po’ per gioco ho tentato di continuare, ma poi è diventata la mia vita”.
Chi è per te Ferzan Ozpetek?
“Lo considero un amico e anche un vero e proprio maestro. E’ un regista che apprezzo molto, mi ha dato sempre grande fiducia ed è per me un piacere lavorare con lui. Ha avuto l’ardire di darmi ruoli diversi rispetto al mio solito, facendo conoscere al grande pubblico qualcosa di me di cui non era ancora a conoscenza”.
Egle Santini in “Allacciate le cinture”. qual è la forza di questo tuo personaggio?
“La scrittura e la capacità di Ozpetek di vedere in me una maschera tragicomica estrema. In quel periodo vivevo la malattia di mia madre e in qualche modo avevo avuto la capacità di accumulare negli occhi e nell’animo quella tragicità di un aspetto di vita, la sofferenza e la solitudine del malato. Quest’esperienza mi ha aiutato a togliere tutta la possibile retorica da trasferire su Egle, facendo in modo di avvicinare lo spettatore al mio personaggio e non allontanandolo, cosa che può accadere quando si è protagonisti di una propria sofferenza”.
Maria in “Magnifica presenza”. Cosa porti con te di questa donna?
“La gioia di poter lavorare con Elio Germano, il fatto di aver fatto un personaggio che fosse meno carattere e più donna contemporanea, la delicatezza di Maria nel trovare l’amore giusto e la raffinatezza del film”.
Tanto cinema e tanto teatro, come li definiresti?
“Il teatro è casa – in quanto mi sento molto più a mio agio lì che non nella vita – e il cinema è un amante: è lui che desidereresti sempre di più, ma non sempre è possibile”.
Hai il dono di saper far ridere ma anche far commuovere, ma cosa cerchi di raccontare con il tuo mestiere?
“Posso dirti che il comico non può essere artificiale, o è bravo o non lo è. Non ha mediazioni, ma è semplicemente così. Adoro i personaggi però tragicomici perché ritengo sia molto catartico per gli spettatori, in quanto li dovrebbero rassicurare. Non possiamo sempre essere allegri e felici, nella vita c’è anche la sofferenza. Credo che nella nostra esistenza debbano coesistere entrambi, tentanto di ritrovare l’empatia nei confronti dell’altro”.
Quale significato ha per te la parola emozione?
“E’ vita”.