Elena Radonicich in “Brennero”: «La mia Eva vive una vita solo in apparenza perfetta»
Da lunedì 16 settembre in prima serata su Rai1 stiamo vedendo la serie tv “Brennero“, una coproduzione Rai Fiction e Cross Productions. Sceneggiata da Carlo Mazzotta e Andrea Valagussa, la fiction racconta la storia di una pm originaria di una facoltosa famiglia di lingua tedesca e di un ispettore di lingua e cultura italiana con un passato difficile che sono costretti a lavorare insieme al caso di un serial killer, detto “il mostro di Bolzano”.
Superando le reciproche diffidenze e facendo squadra, Eva Kofler e Paolo Costa daranno la caccia allo spietato assassino, tornato a colpire dopo anni, riaprendo le ferite e le tensioni culturali che hanno segnato per decenni la città di Bolzano.
A dividere la scena con Matteo Martari, troviamo la sempre intensa Elena Radonicich. Capelli biondi, occhi chiari e sguardo magnetico, la nota attrice – si divide da anni tra tv, cinema e teatro – risulta perfettamente calata nel ruolo della protagonista, una donna solo apparentemente algida e insicura che ben presto dimostrerà ben altro.
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Elena, cominciamo dall’inizio. Cosa ti ha portato a dire sì a “Brennero”?
Sono stata molto contenta di essere chiamata dai due registi a partecipare ai provini; il desiderio di lavorare insieme con fiducia e ammirazione era molto forte.
La produzione era molto attenta e protettiva, permettendo a ogni attore la possibilità di dare sfogo alla propria creatività.
Tu sei Eva Kofler, una donna che stiamo scoprendo man mano. A primo impatto come la descriveresti?
Vista dall’esterno la vita di Eva è perfetta. Trentacinque anni, capelli biondi, fisico longilineo, abiti costosi, gli occhi chiari ereditati da suo padre, che dalla morte di sua madre – quando Eva era solo una bambina – è sempre stato la sua unica famiglia.
Eva ha ereditato anche la professione di pubblico ministero da Gerhard Kofler, ex procuratore capo di Bolzano. E’ una donna che inizia tutto in ritardo, è come incastrata in una vita perfetta. E’ sempre stata nella parte “giusta” del mondo.
Non sa molto di sè ed è anche molto distante dalla propria persona. Continua a reggere il ruolo che le è stato imposto da sempre, non vuole deludere le aspettative.
Il suo cognome, Kofler, non è proprio qualunque. E’ pesante?
Non è facile portarlo. Eva ha sempre sofferto quel padre all’ombra del quale è cresciuta, il suo affetto soffocante ha assunto spesso le sfumature del controllo, del giudizio, rendendola insicura, specialmente sul lavoro, in quel Palazzo di Giustizia dove viene considerata da tutti una raccomandata e dove è impossibile sfuggire ai confronti con una carriera di successo che lei non riuscirà mai ad eguagliare.
Cosa significa per lei essere un pubblico ministero?
E’ figlia di Gerhard Kofler, il più illustre procuratore capo che la procura di Bolzano abbia mai avuto ed è stata una carriera scintillante con un’unica macchia: quel Mostro che non è mai riuscito a catturare.
Paolo Costa lo reputa colpevole della tragedia che l’ha investito. Per lei è un incarico prestigioso ma molto ingombrante in un territorio che da sempre è pieno di pregiudizi.
I suoi sono sempre stati binari già scritti e pian piano vedremo che cercherà di adottare modalità operative diverse da quelle del padre.
L’arrivo di Paolo Costa cosa comporterà per lei?
E’ una figura che avrà da subito una forte influenza su Eva, ne riconosce le capacità e sente che entrambi condividono un’ossessione.
Quest’ultima, se non sfocia in malattia, può portare a una vera e propria passione che travolge tutto. Sono due mondi diversi, eppure c’è una forte attrazione.
Le ne riconosce l’essenza e non la forma. Paolo la guarda e la tratta spoglio di qualsiasi pregiudizio. E’ diverso da lei, eppure questa diversità le permette di scoprire qualcosa di nuovo da sè.
Bolzano e questo dualismo culturale possiamo definirli altri protagonisti della fiction?
Certamente sì. Il dualismo è la premessa che permette di andare nella complessità. Pensandoci, è una sintesi piuttosto superficiale che è sinonimo del pregiudizio perché di fatto non esistono mai differenze così nette. Chi si ferma alla differenza solitamente sbaglia.
Cosa ti piacerebbe arrivasse al pubblico di “Brennero”?
Il conoscere un luogo dalla cultura complessa. Identificarsi ed empatizzare con i personaggi. Mi auguro che questa serie tv inneschi catene produttive che possano indirizzarsi in progetti così innovativi.
Sei un’attrice molto amata dal pubblico e anche dalla critica, hai sempre voluto essere un’interprete?
Da piccola, non ne avevo idea ma forse in me già c’era qualcosa. Avevo bisogno di esprimermi. In maniera casuale, accompagnando un’amica, ho seguito un corso di recitazione.
Mi sono detta che quella sarebbe stata una strada interessante, sono poi venuta a Roma e ho seguito il Centro Sperimentale e pian piano sono arrivata dove sono oggi.
Cosa significa essere un’attrice per te? La parola Emozione che valore ha per te?
Vuol dire spendere tempo per capire come sono fatte le persone e le loro relazioni, capirne i dolori, le cadute, le gioie e le vittorie. Mi interessa come il corpo possa esprimersi.
Mi piace scoprirmi attraverso l’arte, sperando che quest’ultima possa far capire agli altri qualcosa di sè. Raccontare storie è qualcosa di meraviglioso. Credo che l’emozione sia proprio così. L’arte, quella buona, è un tentativo di tradurre la vita.
La bellezza è stata un ostalo o un aiuto nella tua vita?
Oggi viviamo in una società viziata dall’immagine e da canoni che cambiano sempre. Non ho dato troppo peso a questo ma sicuramente sentirsi belli aiuta ad avere possesso di potere.
La bellezza mi ha dato forza, anche se a volte può essere una gabbia. E’ sempre stata un’arma a doppio taglio.
Hai interpretato ruoli di donne molto forti ma hai ancora un volto femminile che vorresti vestire?
Sono tantissimi, anche se in Italia non si spingono molto in là.
Nuovi progetti?
Uscirà “Berlinguer, la grande ambizione” di Andrea Segre e “L’isola degli idealisti” di Elisabetta Sgarbi