Diletta Innocenti Fagni, un nome e una bellezza che di certo non possono passare inosservati. Ha iniziato a studiare arte durante il liceo e successivamente ha deciso di proseguire gli studi a Roma. Il suo viso non è sconosciuto, anzi, l’abbiamo visto sia nel piccolo che nel grande schermo, in cortometraggi, video musicali e pubblicità di successo. In quest’ultimo periodo sta realizzando una serie di abbracci per raccontare l’esigenza, il bisogno e la speranza di ritrovare presto il rapporto interumano che la pandemia ci sta negando. Con lei abbiamo cercato di ripercorrere la carriera di una giovane toscana trapiantata a Roma ma totalmente immersa nell’arte.
Diletta, partiamo dall’arte, più precisamente dal piccolo e grande schermo. Cosa e chi ti ha fatto avvicinare a questo mondo?
“Avevo circa cinque anni quando la maestra dell’asilo mi assegnò il ruolo principale nella recita scolastica di fine anno. Ero una bambina timida, ma quando salivo sul palco la timidezza spariva tutta d’un colpo. Ricordo che ero molto emozionata, era un’emozione piena, forte. Ero al tempo stesso felice e spaventata davanti al pubblico che guardava e applaudiva e credo proprio in quel turbinio di sensazioni di aver pensato per la prima volta che avrei voluto fare l’attrice da grande”.
Cosa rappresenta per te la recitazione?
“Penso che recitare sia un modo per rappresentare la verità. Interpretando un personaggio, anche lontanissimo da te, arrivi a conoscerti più a fondo. Esamini storie, psicologie, contraddizioni e nella diversità trovi analogie con te stesso che non ti aspettavi. E’un’esperienza unica, adrenalinica, che può completamente e continuamente metterti in discussione”.
“Recitare non è essere emotivo. È essere capaci di trasmettere un’emozione”, sosteneva Kate Reid. E’ così anche per te?
“Assolutamente si. Recitare, come ogni arte, è osservare i dettagli e raccontare emozioni. E’ la parte più difficile e più intrigante di questo lavoro: regalare un’emozione”.
Quale significato ha la parola emozione per un’attrice?
“E’ sentire, è una sensazione che senti sulla pelle. Può ferire, stringere, accarezzare, bruciare… Se la pelle è viva, puoi sentire tutto. Questa sensibilità è emozione. L’esigenza dell’artista è proprio questa: emozionarsi per emozionare”.
Oltre alla tua bravura, colpisce sicuramente anche la tua bellezza, delicata seppur folgorante. Quale valore le attribuisci?
“La società di oggi ci vuole canonicamente belli e perfetti, rincorrendo uno standard che finisce per rendere tutti uguali. Credo che la vera bellezza si trovi nell’interiorità, è così che – come l’emozione – si trasmette all’esterno. E’ quella che trapela dagli occhi, da uno sguardo, da un modo di fare. Uno stile, che poi è ciò che ci rende così unici. Imperfetti e belli”.
Questo periodo che stiamo vivendo è sicuramente uno dei più difficili della storia. Tu, tra chiusure ed aperture, come l’hai vissuto?
“La prima parte del lockdown l’ho vissuta in Toscana. Ho approfittato per dedicarmi a me stessa, a ciò che mi piace. Leggevo, studiavo, e ho fatto molti esperimenti in cucina con le scorte di lievito che ero riuscita a accaparrarmi. Adesso sono a Roma, continuo a coltivare le mie passioni, cerco di dare un senso nuovo a questo periodo, di reinventarlo, ma decisamente mi manca il cinema, il teatro, le mostre e i musei. Questo periodo così difficile ha avuto forti ripercussioni nell’arte e nello spettacolo, ma al tempo stesso credo che abbia dato più consapevolezza di quanto la cultura sia importante e necessaria”.
Possiamo dire che l’emergenza da Covid-19, sicuramente ti ha permesso di sviluppare ulteriormente la tua vena artistica. Perché scegliere proprio la pittura?
“Dipingo da sempre, i miei nonni e i miei genitori hanno ancora i miei disegni incorniciati di quando ero alle elementari e alle medie. Ho studiato arte e frequentato vari corsi. Ma per quanto si possa studiare, credo che la pittura sia qualcosa che viene da dentro e esce fuori naturale. Dipingere mi rilassa e mi riempie, quando dipingo il tempo si ferma. Metto un po’ di musica, una tela o un foglio bianco e inizio a disegnare linee. E tutto prende forma. Creare dal niente è incredibilmente affascinante”.
Con quale tecnica realizzi le tue opere?
“Principalmente olio su tela. Con la pittura a olio si riesce a creare maggiori sfumature, effetti di luce e dare profondità”.
Il tema ricorrente è quello degli abbracci, perché hai scelto proprio loro? Cosa rappresentano per te?
“Quando penso all’amore, l’immagine che lo rappresenta è indubbiamente l’abbraccio. C’è qualcosa di intimo, profondo, caldo racchiuso dentro un abbraccio che cerco di cogliere e riportare nelle mie opere. Gli abbracci nei mie dipinti nascono dall’esigenza di esorcizzare questo periodo di restrizione sociale, dalla necessità e l’importanza dei rapporti interumani, come messaggio di ottimismo e speranza”.
Vincent Van Gogh sosteneva di sognare di dipingere e poi di dipingere il suo sogno. E’ davvero così?
“Mi definisco una sognatrice professionista, quindi sì, direi proprio di sì. Dipingo quello che sento, la mia realtà interiore, i miei sogni. Anche ad occhi aperti”.
I tuoi prossimi progetti?
“Alcune delle mie opere sono state selezionate per varie mostre proprio sul tema degli abbracci durante questo ultimo anno di pandemia e una di queste verrà esposta per la Mostra Museu “Arte in quarantena” che si terrà a San Paolo in Brasile”.