Quello raccontato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è la storia di un viaggio, non un viaggio come comunemente siamo abituati a pensare, bensì un viaggio per la vita. Quello che ha fatto il regista Dario Acocella, con il suo tocco cinematografico – e anche profondamente umano – deciso ma delicato, è quello di raccontare cosa accade all’esistenza di una persona quando scopre improvvisamente che la sua unica possibilità di sopravvivenza sia legata al gesto di un individuo il più delle volte ignoto, un gesto sinonimo di amore. Ne abbiamo parlato proprio con il regista che presenta al Festival del cinema la sua ultima fatica. Con lui, la presidente dell’associazione Linfoamici Anna Milici e il testimonial del calendario solidale 2020 di Linfoamici, Paolo Bonolis
Dario, come nasce “Il Dono”?
“Ho ricevuto la telefonata di un mio carissimo amico che non ha nulla a che fare con questo mestiere. E’ volontario di Linfoamici ed è molto amico della presidente dell’associazione. Lui e tutta la onlus avevano il desiderio di sensibilizzare più persone possibili su quanto sia importante donare. L’anno scorso hanno fatto un bellissimo calendario con diversi volti noti e quest’anno sentivano il bisogno di fare qualcosa di più grande, come per esempio un piccolo film, per riuscire a far comprendere quanto sia importante la loro attività di sensibilizzazione sulla donazione del midollo osseo, visto che l’Italia è il Paese con il più basso numero di donatori. Mi hanno presentato Massimo, che poi è anche diventato il protagonista del progetto. Lui si occupa della logistica dei trapianti di midollo da un continente ad un altro, da una nazione ad un’altra, da un ospedale ad un altro e lo fa unicamente in veste di volontario. Mi sono innamorato di questa storia e ho tentato di raccontarla, seguendo anche la voce di coloro che, grazie a un piccolo grande gesto altrui, sono tornati a vivere”.
Perché proprio questo titolo?
“In realtà l’ho “rubato” a Massimo, in quanto ha sempre chiamato così la sua attività. “Il Dono” cerca di sottolineare quanta libertà di agire ci sia dietro a una donazione: chi dona lo fa perché ne sente il bisogno, per una propria motivazione personale interna; è un gesto di grande umanità e coscienza civile”.
Quello che racconti è un viaggio, quello di Massimo Pieraccini. Che tipo di viaggio è?
“L’associazione ha un nucleo operativo a Firenze, città in cui arrivano le chiamate degli smistamenti di tutti gli ospedali. Viene prelevato il midollo di un donatore avvisando l’ospedale ricevente; i volontari poi partono per andarlo a prendere e portarlo a destinazione entro le 24 ore. Non sono ammessi ritardi. Gli organi non sono scortati e non hanno purtroppo corsie preferenziali, possono viaggiare accanto a chiunque, anche a passeggeri che vanno in vacanza”.
Per te cosa rappresenta il viaggio?
“E’ la metafora della vita; ha un’origine e ha anche un punto di arrivo. Tutti coloro che aspettano quell’organo intraprendono una procedura medica ben precisa e una volta intrapresa, nel caso di ritardi o errori, possono rischiare la vita: il loro è un viaggio di rinascita”.
Questo “Viaggio” è sinonimo di amore?
“Assolutamente sì; se è vero che il senso dell’amore si racchiude nel dare – a ricevere siamo capaci tutti -, credo che non ci sia nulla di così grande se non il donare un pezzetto di sé. E’ amore incondizionato verso il prossimo, senza sapere chi sia esattamente. La compatibilità di donazione del midollo è una su cento mila – escludendo la propria famiglia che non ha mai compatibilità -.
“Il Dono” è stato dedicato a Cristian, un bimbo di pochi anni che aspettava il midollo ma è morto troppo presto perché il midollo non ha trovato la compatibilità con la banca dati mondiale. Nell’ epoca in cui viviamo, quale significato hanno il dono e il donare?
“Enorme. Dovrebbe essere una filosofia di vita. In un periodo storico come quello attuale, ogni essere umano è distante l’uno dall’altro; emergono solo l’egocentrismo, il narcisismo e la scarsa attenzione verso l’altro. Vent’anni fa i bambini giocavano per strada, ora è difficile farli stare all’aria aperta; manca il contatto umano purtroppo”.
Cosa ti auguri arrivi al pubblico di Venezia?
“A me non piace fare sensazionalismi o dare adito al cinema e alla tv del dolore. Mi piacerebbe far leva su qualità umane che abbiamo probabilmente tutti ma che purtroppo dimentichiamo di avere”.