La storia di Souleymane dal 10 ottobre al cinema

Immigrato a Parigi dalla Guinea, il giovane Souleymane attende con ansia il colloquio con l’ufficio immigrazione locale per ottenere asilo e regolarizzare la presenza in Francia. Nel frattempo sbarca il lunario sfrecciando per la città in bicicletta e facendo consegne, subaffittando il profilo su un’app da un conoscente.
Per dormire, deve prenotare ogni giorno un posto letto nella sistemazione provvisoria statale e presentarsi in tempo la sera alla partenza del pullman, schivando i vari ostacoli umani e istituzionali che cercano di mettergli i bastoni tra le ruote.
Presentato al Festival di Cannes 2024 nella sezione Un Certain Regard dove ha ricevuto due riconoscimenti: il Premio della Giuria e quello per il Migliore attore, “La storia di Souleymane” arriva al cinema dal 10 ottobre.
«Il casting è stato lungo – spiega il regista e sceneggiatore Boris Lojkine – perché cercavo qualcuno che fosse davvero rider. Poi, nel nord della Francia, abbiamo trovato Abou, che ha molte cose in comune con Souleymane.
E così il personaggio si è alimentato della sua storia e di quella degli altri attori». È il terzo lungometraggio per Lojkine – che accompagna il film nelle anteprime che precedono l’uscita ufficiale del 10 ottobre con Academy Two – che ha alle spalle una forte esperienza nel documentario: «La realtà resta alla base del mio lavoro: la raccolta dei materiali, le interviste, i racconti di vita che sono diventate scene del film.
A volte abbiamo lavorato con un centinaio di persone, come nelle sequenze al centro d’accoglienza, e non è stato facile da gestire. Ma la troupe era leggera, in alcuni giorni eravamo in quattro o cinque, al di sotto degli standard delle produzioni di fiction. Era l’unico modo per restituire la verità».
Ha poi concluso: «Nel contesto politico attuale diventa più importante e urgente parlare di migrazione una cosa che in Francia come in Italia da alcuni anni ha preso un posto enorme nei discorsi politici.
Oggi i migranti vengono visti troppo come figurine, persone disumanizzate, io volevo esattamente fare il contrario, non volevo dare nessun messaggio, ma far stare attaccato lo spettatore a Souleymane e alla sua bicicletta.
E questo – continua il regista – per far sì che si guardino questi migranti in modo diverso. Nessuno ha mai raccontato davvero il loro punto di vista è invece importante umanizzare queste persone, stare vicino fisicamente a Souleyman».