PADRE PIO di Abel Ferrara dal 18 luglio al cinema
San Giovanni Rotondo, 1920. Padre Pio si ritira nel convento in cima alla montagna e deve confrontarsi con gli incubi e le visioni che si frappongono fra la sua volontà di aderire al disegno divino e le sue debolezze di uomo. In paese i soldati sono rientrati dalla Prima Guerra Mondiale stanchi, mutilati, ma pronti a gridare “Viva l’Italia!”.
Ma c’è anche chi non è tornato, e chi invita i reduci a interpretare la vittoria come un successo solo per quei latifondisti che sfruttano la manodopera contadina. Le prime elezioni politiche libere avranno luogo a giorni. e i rappresentanti del Partito Socialista cercano di convincere i paesani a votare per loro.
Ma i rappresentanti del potere, della proprietà e della Chiesa rispondono con aggressioni e minacce. Apparentemente il travaglio spirituale di Padre Pio e quello esistenziale dei contadini sono in questa storia scollegati, anche logisticamente, ed in parte è davvero così, perché Pio si muove sui piani alti della Fede, invitando i paesani a seguirlo lungo la sua ascesi, ma non si prende concretamente cura della loro situazione terrena.
In realtà il filo conduttore per entrambi sta nella reciproca ricerca del coraggio: quello di Pio nel farsi definitivamente carico della sofferenza dell’Uomo e abbracciare la propria vocazione, e quello dei contadini nel combattere le ingiustizie perpetrare nei loro confronti ed esigere un futuro migliore per la propria discendenza.
In entrambi i casi, costi quel che costi. Questo e molto altro è PADRE PIO, il nuovo film di Abel Ferrara che uscirà nelle sale cinematografiche il 18 di luglio. «Di Padre Pio mi ispira ogni cosa. La sua pietà, la sua compassione, la sua dedizione, i suoi scritti, il suo dubitare, il suo mettere in dubbio la Fede, il suo viaggio, la sua quotidianità e l’essere sempre una persona umile, semplice:
tutto questo fondamentalmente è la connessione con mio nonno, una persona semplice, che non aveva mire, come Pio, che non ne aveva bisogno», ha dichiarato il regista.
Il film non è né un biopic né un santino televisivo, ma una parabola (laica) asciutta ed essenziale sulla necessità di portare le idee e le azioni fino alle loro estreme conseguenze, e conserva un’essenzialità espositiva di per sé radicale, resa più credibile dall’interpretazione scarnificata di Shia Le Boeuf, che racconta un calvario personale tangibile.