Si intitola “Per riconoscersi” ed è il sesto album degli En Roco. Per la prima volta nella storia della band genovese, si tratta di un disco politico, nel senso più alto del termine, che dà spazio al concetto di cittadinanza come partecipazione e responsabilità. La cittadinanza come parte rilevante della vita di ciascuno, all’interno del proprio Io, della comunità e del mondo. In tempi di grande difficoltà nel mantenere vivi i valori democratici – dati in precedenza per acquisiti – si è resa necessaria una presa di posizione sui principi che possano garantire l’armonia e la condivisione nella società. Tuttavia, all’interno dell’album, si possono percepire tutte quelle contraddizioni umane e sociali che impediscono il raggiungimento di quell’obiettivo politico.
L’ultima fatica è “Per riconoscersi”, come’è nata?
“È un lavoro nato nel tempo. Diversamente dalle produzioni precedenti, tutti i pezzi sono stati arrangiati con un lavoro costante in saletta. Dal punto di vista dei contenuti è di per certo un disco che denota la necessità di prendere posizione su ciò che avviene intorno. Insomma cantare l’amore non basta più, servono opinioni consapevoli su temi importanti, che siano occasione di condivisione”.
Cosa sperate arrivi al pubblico con questa canzone?
“‘Per riconoscersi’ testimonia la volontà di non adeguarsi al proprio io, ma di aprirsi all’esterno, all’altro”.
Ai giorni nostri perché è importante riconoscersi?
“Come si canta nella canzone “per non nascondersi”, dal mio punto di vista con una duplice accezione: per non nascondersi ovvero non diventare indistinguibile nella massa e dunque perdere le proprie identità; per non nascondersi ovvero non perdere di vista quello che davvero pensiamo e che ci muove ad avere aspirazione ed amore per la nostra vita. Per fare ciò è necessario saper perdersi e trovare strade nuove fuori dal consueto”.
Il vostro è un vero e proprio disco politico. Quale dovrebbe essere il compito della politica secondo voi oggi?
“Come Motta ha detto in un’intervista che ho molto apprezzato, il ruolo del musicista, come quello di chiunque utilizza forme di comunicazione, non può essere quello di mero spettatore di ciò che accade. Serve prendere una posizione chiara su ciò che accade intorno a noi; restare indifferenti e limitarsi a mettere una faccina arrabbiata ad un post di Facebook serve solo a contribuire ad un processo di omologazione che alla lunga rischia di renderci indifferenti a tutto e a tutti”.
Nel vostro album si parla di partecipazione e responsabilità, quale significato attribuite a queste due parole?
“La partecipazione, quella vera, è uno degli elementi necessari nel contesto sociale attuale. Siamo troppo spesso semplici osservatori di ciò che accade, come se gli eventi non ci toccassero davvero, come se per noi fosse tutto reversibile. Partecipare ai processi decisionali, avere un ruolo in processi di cambiamento di ciò che non ci piace portano anche a una progressiva responsabilizzazione, elemento necessario per la crescita dell’amor proprio e, soprattutto, di un’armonica convivenza con chi ci sta a fianco o più distante”.
La vostra che musica è?
“La nostra musica è urgenza di espressione e costruzione di legami”.
Perché chiamarvi proprio En Roco?
“Ci sono diverse “leggende metropolitane” raccontate a riguardo nel corso degli anni. In quest’ultimo anno mi do una sola risposta alla domanda: per riconoscerci”.