Il 26 marzo è iniziata “Doc – Nelle tue mani”, la nuova fiction Rai a sfondo medico, tratta dalla straordinaria storia vera di Pier Dante Piccioni. La serie tv, che vede come protagonista Luca Argentero nei panni del medico Andrea Fanti, racconta del percorso affrontato per recuperare la memoria perduta in seguito ad un colpo di arma da fuoco. Tra intrighi, misteri e relazioni il protagonista dovrà riuscire a ritrovare se stesso e colmare il buco nero che si è venuto a creare nella sua mente. Saranno la medicina e i suoi pazienti ad aiutarlo e a sistemare quello che resta dei suoi ricordi rimasti indietro di 12 anni. A portare questa intensa storia sul piccolo schermo è la penna di indiscutibile bravura di Francesco Arlanch, sceneggiatore che ha firmato tra le storie più belle della tv.
Francesco, perché portare in tv la storia di Pier Dante Piccioni?
“Perché è una bellissima storia su un medico che si ritrova ad essere paziente e, grazie a questo, diventa un medico migliore. Un medico che riesce a curare la propria patologia curando gli altri. È una storia vera, ma così incredibile da sembrare inverosimile. Ed è una bellissima metafora sul recupero della propria identità, sulla possibilità di una seconda occasione, sul valore della cura degli altri”.
Luca Argentero, il protagonista della fiction, chi interpreta?
“Interpreta il protagonista, ispirato alla figura del dottor Pierdante Piccioni. Nella serie ha il nome di Andrea Fanti perché la storia del dottor Piccioni è stato lo spunto iniziale che abbiamo poi sviluppato, io e Viola Rispoli, l’altra autrice, per costruire una serie di sedici episodi”.
Perché avete scelto proprio Luca?
“Perché Luca riesce con naturalezza a calarsi nei panni di un medico che sa rivolgersi ai pazienti con autorevolezza e, al tempo stesso, con dolcezza. È un grande attore ed è molto amato dal pubblico: la combinazione ideale per interpretare il protagonista di una serie medica per Rai Uno, dove non c’è ancora una tradizione consolidata di serie “medical” come nelle televisioni generaliste di altri Paesi”.
Affronti un tema molto delicato, ovvero la perdita di memoria, quanto è importante la memoria ai giorni nostri?
“Il tema della memoria è importante per la serie, ma non è quello centrale. Il tema più importante è quello della “cura”. L’esperienza di prendersi cura degli altri è centrale per l’essere umano. Tutti siamo oggetto e al tempo stessi soggetto di cura. Prendendoci cura degli altri ci prendiamo cura di noi stessi. Il rapporto medico-paziente è l’angolo di visuale ideale per raccontare le dinamiche di questa esperienza universale. E abbiamo scoperto, parlando con il dott. Piccioni e trascorrendo molto tempo con i medici che lavorano nel reparto di Medicina Interna del Policlinico Gemelli di Roma, che per prendersi cura di un paziente è fondamentale conoscere la sua storia. Si parla proprio di “medicina narrativa”. Solo se conosco la storia personale di un paziente posso diagnosticare il male che lo affligge e fare qualcosa per lui. Quando abbiamo scoperto questa prospettiva, per noi sceneggiatori si è aperto un vasto panorama di possibilità narrative perché l’indagine medica, negli episodi di DOC è diventata lo strumento per approfondire la conoscenza di personaggi che, come tutti noi, hanno segreti, ricordi rimossi, verità sepolte da anni di bugie”.
Com’era Andrea, il personaggio interpretato da Argentero, prima di perdere la memoria?
“Un medico che, a causa di una tragedia che scopriremo a poco a poco, tiene a distanza i pazienti. Non vuole lasciarsi coinvolgere dalle loro vicende personali per non avere un giudizio turbato dalle emozioni. Per le sue decisioni si basa solo sui referti degli esami, sui dati oggettivi, perché sa che i pazienti tendono a mentire, a nascondere, a trascinarti in rapporti che rendono tutto più complicato. È un bravo medico, efficace. Ma limitato, perché rifiuta di correre il rischio di lasciarsi coinvolgere dai pazienti”.
Come diventerà?
“Tornerà ad essere il medico che era prima della tragedia, ma in modo totalmente nuovo. Perché ha sperimentato cosa significa essere un paziente. Ha sentito sulla sua pelle cosa vuol dire mettere la propria vita nelle mani degli altri. E ora è il medico che tutti vorremmo incontrare”.
L’ospedale cosa rappresenta per Andrea?
“Quando si risveglia dal coma, e capisce di aver rimosso gli ultimi dodici anni di vita, Andrea vede l’ospedale come l’unica casa che riconosce. Tutto il resto nella sua vita è cambiato rispetto a come lo ricorda: famiglia, amicizie, colleghi, lui stesso. L’ospedale invece è ancora quello. Per non precipitare nell’abisso della disperazione allora si aggrappa a questo e, con ostinazione, decide di tornare a lavorare in corsia, anche se dovrà partire dal fondo della scala gerarchica: lui che era il primario sarà un semplice assistente degli specializzandi. Di fatto, meno di un portantino”.
Sono settimane molto difficili per tutti noi, ma secondo te #tuttoandràbene?
“Sono nato e vivo in provincia di Bergamo. Poche zone al mondo sono state colpite come questa dalla pandemia. La vita della mia famiglia, come quella di tutti, è stata stravolta. E ci sono cari amici che purtroppo hanno anche perso dei famigliari. Sì, diciamoci pure che andrà tutto bene, perché è così. Cantiamo pure alle finestre ed esponiamo i tricolori perché è utile e giusto. Ma ricordiamoci chi non ce l’ha fatta. E per rispetto a loro, e a noi stessi, facciamo in modo che questa tragedia non sia stata vana”.