Nei migliori teatri italiani andrà in scena “Pensaci Giacomino”, l’opera di Luigi Pirandello che nasce in veste di novella nel 1915 per poi farne un’edizione teatrale nel 1917. Quella che viene raccontata è la storia di una fanciulla che, rimasta incinta del suo giovane fidanzato, non sa come portare avanti questa gravidanza. Il professore Toti pensa di poterla aiutare chiedendola in moglie e potendola poi così autorizzare a vivere della sua pensione il giorno in cui lui non ci sarà più. Naturalmente la società civile si rivolterà contro questa decisione anche a discapito della piccola creatura che nel frattempo è venuta al mondo. Finale pirandelliano pieno di amara speranza dove il giovane Giacomino prenderà coscienza del suo essere uomo, del suo essere padre e andrà via da quella casa che lo tiene prigioniero, per vivere la sua vita con il figlio e con la giovane moglie. Emergono tutti quelli che sono i ragionamenti, i luoghi comuni e gli assiomi tipici di Pirandello. Con la regia di Fabio Grossi, in scena ci sono Leo Gullotta – che gentilmente ci ha rilasciato quest’intervista – con Liborio Natali, Rita Abela, Federica Bern, Valentina Gristina, Gaia Lo Vecchio, Marco Guglielmi, Valerio Santi e Sergio Mascherpa, per la regia di Fabio Grossi.

Gullotta, perché ha detto sì a questo progetto?

“E’ uno spettacolo che portiamo in giro da ben due stagioni teatrali con un grande incontro del pubblico. “Pensaci Giacomino” è una macchina da guerra come testo e riesce ad arrivare con impatto immediato. Non si portava a teatro da circa 30 anni. Riesce a snocciolare circostanze di contemporanea efficacia: si affronta la solitudine e la condizione femminile, l’arrivismo dei burocrati, l’invadenza dei rappresentanti ecclesiastici e l’ipocrisia sociale. E’ una tragedia civile”. E’ la vicenda di un uomo che vuole aiutare con la sua piccola pensione i più giovani”.

In questo spettacolo troviamo tutte le caratteristiche letterarie di Pirandello, perché a distanza di decenni le sue opere vengono ancora portate in scena?

“E’ universale, come tutti i più grandi autori; non viene rappresentato solo in Italia ma nel mondo. Emerge un’attenta osservazione della realtà che di fatto non è molto diversa da quella che viviamo”.

Il finale di  “Pensaci Giacomino” è pieno di un’amara speranza, è d’accordo?

”Esatto. Emerge la speranza pirandelliana anche se piuttosto amara, la stessa che dovremmo avere anche oggi. Ogni singolo uomo deve averla. Ognuno di noi deve prendere coscienza di sé stesso e della realtà che gli sta intorno”.

Se Giacomino prende coscienza di sé, nel 2019 abbiamo coscienza di noi stessi?

“Dobbiamo riprendere coscienza dei valori, della memoria, delle nostre radici; non possiamo vivere di slogan, ma cercare di capire noi stessi e le realtà che ci circonda, nonostante l’enorme confusione in cui siamo immersi. Dobbiamo sempre essere curiosi  e analizzare quello che sta avvenendo intorno a noi. Quello che è accaduto a Liliana Segre è offensivo alla buona intelligenza dell’essere umano. E’ difficile essere uomini in questo momento”.

Per lei il teatro cosa rappresenta?

”Un luogo in cui possiamo stare insieme, che cerca di dare degli stimoli, per imparare, per incuriosire e per emozionarsi”.

Victor Hugo affermava: “Il teatro non è il paese della realtà: ci sono alberi di cartone, palazzi di tela, un cielo di cartapesta, diamanti di vetro, oro di carta stagnola, il rosso sulla guancia, un sole che esce da sotto terra. Ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco”, lei è d’accordo?

“La mia è una professione molto complessa di cui il pubblico conosce solo la parte finale. Arrivo sul palco perché qualcuno mi ha vestito, mi ha truccato, mi ha diretto, ha  messo le luci e così via. E’ un’unione sana. E’ fondamentale studiare e quindi conoscere. L’Italia è il Paese dove tutti fanno tutto ma non dovrebbe essere così”.

Ha sempre voluto fare questo mestiere?

“Ho iniziato a 14, per caso e per una serie di situazioni. Sono nato in un piccolo paese, povero, ultimo di sei figli con mio padre operaio pasticcere. Tutti per fortuna abbiamo potuto studiare. Non c’era niente in quel periodo, ma sono sempre stato un bambino molto curioso. Mi sono così ritrovato a lavorare per ben dieci anni con il teatro di Catania”.

Cosa significa essere attore?

“Attraversiamo il passato e il presente, e a volte anche il futuro. Vuol dire essere un traduttore simultaneo dell’animo umano, un compito non facile di questi tempi”.

Lei è di Catania ma è spesso in giro per l’Italia per lavoro, ma cosa porta con sé della sua città e del suo essere siciliano?

“Porto sempre e da sempre la mia radice. Viaggio spesso e osservo. Vedo l’evoluzione e l’involuzione di ciò che mi sta attorno”.

 

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Giulia Farneti
Quando la musica, il cinema, il teatro e la televisione si uniscono al giornalismo dando vita a una passione costante per l'arte, lo spettacolo è inevitabile. Dopo aver collaborato con il quotidiano Infooggi (redazione siciliana) occupandosi di criminalità organizzata, ha aperto anche la rubrica settimanale “Così è (se gli pare)” di cui era anche responsabile con Alessandro Bertolucci. Ha collaborato con i quotidiani La Nostra Voce, Resto al Sud e con il mensile IN Magazine. Attualmente collabora con il Corriere Romagna che ha sede a Rimini, con il mensile PrimaFila Magazine che si occupa di cinema e libri, ed in ultimo ma non per importanza, con Showinair.news, l'attuale Testata Giornalistica, con articoli e interviste inedite a personaggi dello spettacolo del cinema, televisione, teatro, musica e articoli di cultura.