Lo abbiamo visto in queste settimane diretto da Pupi Avati nella sua ultima fatica qual è “Il signor diavolo” ma Gabriel Lo Giudice è un artista che ha lavorato molto anche all’estero, nel Regno Unito in particolare, dove ha scelto di vivere. Del suo ultimo film al cinema e del suo percorso artistico abbiamo parlato proprio con lui.
Gabriel, sei tra i protagonisti al cinem de “Il signor Diavolo”, perchè hai detto sì a questo progetto?
“Diciamo che dire di no a Pupi Avati sarebbe stato da manicomio! Scherzi a parte, l’idea di lavorare su un progetto così interessante con un maestro del cinema come Pupi Avati era un’opportunità incredibile e molto stimolante”.
Ci racconti meglio del tuo personaggio?
“Furio Momenté è un ispettore del Ministero di Grazia e Giustizia degli anni ’50. Un uomo che non ha mai avuto opportunità per eccellere, un pò per le sue paure e la sua timidezza e un pò perché è sempre stato visto come uno zimbello dentro il Ministero. Durante la storia, Furio troverà l’opportunità di avere un caso tutto per sé“.
Come pensi sia il genere horror in Italia?
“Sinceramente lo conosco poco. Non vivo in Italia da tanti anni, e l’horror mi fa andare a letto con troppa paura, per cui è un genere che conosco poco anche in ambito internazionale! L’ho riscoperto con molto piacere guardando i film di Pupi Avati prima dell’inizio delle riprese… e mi hanno confermato quel che temevo. Non sono riuscito a dormire. Durante questo viaggio comunque ho avuto il piacere di parlare con molti fan del genere horror Italiano, e ho riscontrato una passione pazzesca, per cui spero veramente che questo film possa far rinascere un pò di interesse verso il genere, e di conseguenza che se ne possano fare di più, di horror italiani!“
Com’è stato essere diretto da Pupi Avati?
“Prima di tutto un grande onore e un immenso piacere. Al Maestro Avati piace entrare nella scena, per cui si anima molto sul set, nel voler fare entrare sotto la pelle dei propri attori i sentimenti che vuole trasmettere. Io rispondo molto a stimoli visivi, per cui per me è stato da subito molto veloce capire che cosa volesse da me. Poi, se ci sono riuscito, questo non lo so! Mi sono sempre trovato a mio agio, ed il set sembrava più una grande famiglia che un ambito lavorativo”.
Perché hai deciso di fare questo mestiere?
“Sinceramente ho cominciato abbastanza tardi. O almeno, tardi per i normali canoni. Ho iniziato lavorando dall’altra parte della macchina da presa. Ho fatto l’assistente alla regia per anni, e ho sempre pensato che stare davanti alla macchina da presa mi sarebbe piaciuto. Quando mi sono spostato a Londra ho provato ad entrare alla scuola di teatro, e con grande sorpresa mi hanno preso, e lì, alla East 15 Acting School, mi sono subito trovato molto libero e felice. Per cui non sono più voluto tornare indietro!“
Sei di Bologna ma vivi a Londra. Cosa accomuna queste due città?
Le nuvole, e poco altro credo. Le vedo in modo molto diverso. Bologna è piccola, accogliente e calorosa. Come una grande famiglia. Londra è veloce, incessante, enorme e piena di contraddizioni“.
Quale definizione daresti ad entrambe?
“Bologna la definirei una grande famiglia seduta intorno ad un tavolo di domenica pomeriggio. Londra un adolescente che gioca a fare il ribelle, ed è in cerca di un identità, ma che sotto sotto sa sempre di avere l’affetto dei genitori“.
Essere attore in Inghilterra è molto diverso che esserlo in Italia?
“L’industria è molto più grande. È difficile incontrare le stesse persone su due set diversi, mentre in Italia è meno raro. Ma le gioie ed i dolori rimangono gli stessi”.
I tuoi prossimi progetti?
“Tra poco uscirà I Ragazzi dello Zecchino, il film su Mariele Ventre, dove interpreto il primo fidanzato di Mariele”.