Dopo aver trionfato alla 76esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia vincendo il Leone d’Oro come Miglior Film, a partire da oggi arriva nei nostri cinema l’attesissimo “Joker” diretto da Todd Phillips e interpretato da un intensissimo Joaquin Phoenix, un’interpretazione che lo candida a vincere l’Oscar come Miglior Attore Protagonista nella prossima edizione dell’ambita statuetta cinematografica. Quello che il film restituisce è un uomo – più precisamente Arthur Fleck – che cerca di trovare il suo posto nella società pressoché in frantumi di Gotham City. Vive con l’anziana madre in un palazzo ai margini della periferia: travestito da clown di giorno facendo pubblicità, di notte aspira a essere un comico di cabaret ma ben presto comprende di essere per i più uno zimbello, un uomo calpestato dai pregiudizi, bullizzato e preso in giro da chiunque, quasi come prigioniero della ciclicità vissuta tra la passività e la cattiveria. Sviluppa un tic nervoso che lo fa ridere a sproposito in maniera del tutto incontrollabile, rendendolo inquietante e allontanando ancora di più da lui ogni possibile relazione sociale. Stremato da tutto questo, un giorno decide di reagire e, mentre la polizia gli dà la caccia, la popolazione lo elegge come un eroe metropolitano, simbolo contro l’arroganza dei ricchi. Il Joker che ci viene raccontato è ben diverso da quelli visti precedentemente: Cesar Romero nella serie tv “Batman”, Jack Nicholson nel “Batman” di Tim Burton, Heath Ledger nel “Cavaliere oscuro” di Christopher Nolan e Jared Leto nel più recente“Suicide Squad”. Arthur Fleck è magrissimo, curvo su sè stesso, il corpo emaciato e pieno di lividi, l’anima oppressa da una risata incontrollabile che definisce «un disturbo». Porta in tasca un biglietto che porge a chi si offende per il suo ghigno inopportuno: «Soffro di un disturbo… non abbiatevene a male». E’ fragile, stremato da rabbia e dolore, al punto da ispirare compassione; è come spezzato dentro, claudicante. Il film inizia con una risata e finisce con una risata, ma non è una risata come tutte. È una risata che disturba, ch entra sotto pelle e che continua a riecheggiare nella mente. Non è solo inquietante ma è anche lo specchio di un’inquietudine che si annida nell’anima, in quella parte di anima più profonda, difficile da riuscire a sviscerare. «Ho sempre pensato alla mia vita come a una tragedia, adesso vedo che è una commedia», questo afferma il Joker nel film, in un finale che fa riflettere, una frase che ci porta a pensare che poi di fatto quell’uomo così irrisolto non è così distante da noi, da tutti noi.