A soli 44 anni, Andrea Valagussa ha scritto la sceneggiatura di alcune delle serie tv – e non solo – più belle che la Rai abbia mai trasmesso. Stiamo infatti vedendo su Rai1 “La strada di casa 2” con Alessio Boni e Lucrezia Lante Della Rovere e “Un passo dal cielo 5” con Daniele Liotti. Ne abbiamo parlato proprio con lui.
Andrea, ancora una volta vedremo la tua firma in una delle fiction più seguite qual è “La strada di casa”. Perché fare una seconda stagione?
“Potrei risponderti per pagare il mutuo, ma per una volta non è così. “Strada di Casa” non è mai stato solo un lavoro. E’ stato ed è un racconto necessario, una riflessione sul ruolo del padre, della genitorialità, un’esperienza umana che ti interroga nel profondo. Ecco perché quando pubblico e critica ci hanno premiato e la Rai ci ha chiesto di immaginare un seguito, ci siamo ripromessi di non perdere quest’urgenza, questa necessità, questa sincerità. La prima serie è stata quella del ritorno di un padre, questa può essere sottotitolata “in nome del figlio”. Cosa si è disposti a fare per un figlio?”
Quali sono le novità di questa seconda stagione?
“Più che una seconda stagione è una “nuova prima” stagione. I personaggi sono gli stessi, con gli inserimenti di Massimo Poggio, Roberta Caronia, Simone Gandolfo e Claudia Zanella; i luoghi pure, ma la storia che si affronta è assolutamente originale, staccata dalla prima. Sono passati tre anni. Fausto è stato in carcere per la truffa alimentare scoperta in prima stagione. Ancora una volta torna a casa. Questa volta però tutti lo aspettano a braccia aperte. Lo accolgono. Il figlio, che nel frattempo ha portato avanti la sua rivoluzione aziendale creando un birrificio modello (abbiamo avuto l’onore di girare nello stabilimento di Piozzo della Birra Baladin), lo ha atteso per celebrare il matrimonio con Irene. Sembra l’alba di un nuovo giorno, l’Eden, ma basta un nulla perché il castello di ipocrisie e segreti crolli. Basta che Irene, la promessa sposa, non si presenti. Lorenzo viene accusato di averla uccisa e di averne nascosto il cadavere. Arrestato. Fausto che sognava solo di godersi terra e famiglia deve già riprendere il cammino. E sarà un viaggio che rischia di fargli perdere per sempre la strada di casa”.
Per quali motivi, secondo te, questa la prima stagione ha tenuto incollati milioni di telespettatori?
“Mistero ed emozioni, questa la ricetta. Le sue due colonne sono il giallo e il relazionale. Non ci interessava solo il lato intellettuale del giallo, scoprire il colpevole, ma ci importava soprattutto sviscerare le emozioni. Non solo le azioni, ma le reazioni. Come reagisce una moglie quando scopre che il marito è sospettato di omicidio. E il colpevole? Come riesce a reggere il peso delle proprie azioni mentre la polizia si avvicina alla verità? Quante maschere deve indossare, quante bugie raccontare? La stessa ricetta è alla base anche del continuo”.
Qual è la vera strada di casa?
“Non quella che porta a un luogo, ma agli affetti più profondi. Un’amicizia, un amore, una passione, la famiglia. Io sono sposato da 15 anni. Mi sento a casa quando scopro di essere importante per qualcuno. Non importa dove mi trovi, magari anche a chilometri di distanza, ma in quel momento mi sento a casa”.
Hai firmato la sceneggiatura anche di “Un passo dal cielo 5”. Qual è al forza di questa fiction invece?
“Di “Un passo dal cielo” firmo anche il soggetto di serie della prima stagione. L’idea, sin dal principio, è stata quella di valorizzare l’ambiente, la montagna. Un luogo speciale, un luogo dell’anima, un luogo che ti interroga. Di fronte alle meraviglie della natura ti senti piccolo, ti chiedi chi sei, sei costretto a guardarti dentro. Ecco perché i protagonisti di UPDC sono da sempre personaggi con un segreto interiore, un dramma, personaggi che spesso scappano da un passato ingombrante cercando rifugio lontano dal mondo, ma che poi sono costretti a fare i conti con i propri demoni”.
Come ritroviamo i protagonisti di questa storia tra i monti?
“Francesco, Daniele Liotti, cerca di dimenticare le vicende passate nell’ultima stagione, ma non sarà possibile. Il maestro tornerà a bussare alla sua vita e lui dovrà decidere se fidarsi o meno del suo vecchio nemico. Quest’anno poi potrà contare sull’amicizia con Nappi. Il commissario vive un brutto momento personale. Resta solo. E questo darà lo spazio ai due per coltivare una sorprendente amicizia”.
Ti sei mai sentito “A un passo dal cielo”?
“Potrei dirti il giorno in cui ho conosciuto mia moglie, quello in cui sono nati i miei figli, la volta in cui ho visto per la prima volta il mio nome su uno schermo, tutti momenti eccezionali. Quello che mi piace però è cercare l’eccezionale nel quotidiano. Odio vivere di rimpianti, di “se fosse”, cerco invece di succhiare il meglio dalla vita. Non sempre ci riesco, ma almeno ci provo”.
Sei di Monza. Quanto questa città ha “influenzato” la tua scrittura?
“Nessun frutto cade mai lontano dall’albero. Monza, i miei amici, le esperienze che ho vissuto, tutte cose che fanno parte del mio bagaglio d’autore. Spesso ai personaggi do i nomi dei miei amici: è un piccolo vezzo, un gioco divertente tra me e la mia città”.
Per quali motivi hai deciso di diventare sceneggiatore?
“A 6 anni ho visto il mio primo film al cinema, “E.T.” Ne sono uscito esaltato. Da quel giorno a chi mi chiedeva cosa volessi fare da grande rispondevo il regista. Non sapevo neanche cosa facesse, ma volevo anch’io un giorno regalare le stesse emozioni che avevo ricevuto in quella prima esperienza. Crescendo ho poi scoperto che il primo regista di un film è in realtà lo sceneggiatore: colui che getta le basi del mondo a cui poi registi, attori, costumisti, scenografi, tecnici danno tridimensionalità e vita. Non sono mai stato innamorato della parola scritta, ma di storie e ho la fortuna di poterne creare di nuove ogni giorno”.
Cosa significa essere sceneggiatore nel 2019?
“Da sempre l’uomo racconta storie. E se lo fa è perché, risolti i bisogni primari, nutrirsi e riprodursi, ci si è da sempre interrogati su come essere felici. Le storie non sono altro che una risposta a questa domanda. Raccontarle è dentro di noi. Farlo oggi significa semplicemente adattarsi ai media a nostra disposizione: televisione, cinema, teatro, nuove piattaforme digitali. Una bella abbondanza per fortuna”.
Hai scritto le sceneggiature per il piccolo e grande schermo, oltre che per il teatro, qual è la differenza?
“Tre mondi completamente diversi. In tv conta molto la parola. Il pubblico guarda la televisione mentre fa altre mille cose. Al cinema a parlare è soprattutto l’immagine. A teatro invece è l’anima, unita però alla corporeità dell’attore, un mix sublime”.
Cosa consiglieresti a quei giovani che vogliono intraprendere il tuo mestiere?
“Di essere curiosi e affamati l’ha già detto qualcuno? Scherzi a parte, consiglierei di non accontentarsi di guardare mille fiction, ma di osservare anche la vita. Il consiglio più utile di tutti però è quello di studiare. Se non avessi frequentato il Master di scrittura e produzione per la fiction e il cinema organizzato dall’Università Cattolica di Milano non avrei mai potuto fare questo lavoro. Non perché esistano ricette magiche per scrivere, ma perché esistono utilissimi strumenti di analisi per migliorare ciò che scrivi. E poi ovviamente il master è servito per creare relazioni con il mondo del lavoro”.
I tuoi prossimi progetti?
“Sempre con Casanova Multimedia di Luca Barbareschi stiamo lavorando a una nuova serie che mescola medical e crime. Per scaramanzia non posso dire di più, ma spero di potervi presto presentare il progetto. Sarà audace”.