Giovani e cultura e quanto quest’ultima sia un’importante strumento di aggregazione, confronto e crescita dell’individuo: di questo si parla oggi alle 18.30 nella chiesa San Giacomo nella Settimana del Buon Vivere. Giunto alla decima edizione, il festival porta in Romagna una settimana di eventi culturali, di economia etica, salute, bene comune, benessere, alimentazione, cultura e coesione aperti al pubblico. In quest’occasione, accompagnato dalla collega Anita Caprioli, ecco Daniele Pecci, noto attore italiano, molto amato dal pubblico che si è cimentato in un dialogo sul profondo e importantissimo legame tra i giovani e la cultura. Ne abbiamo parlato proprio con lui.

Sei uno dei protagonisti della Settimana del Buon Vivere, conoscevi questo festival romagnolo?
“No, non lo conoscevo per niente a dire il vero e ci vado con moltissima curiosità”.

Cosa vuol dire “buon vivere”?
“Credo che ognuno di noi pensi al buon vivere come a quel qualcosa che lo faccia stare al meglio, mangiare bene, dormire bene e amare bene”.

Insieme all’attrice Anita Caprioli, tocchi temi come giovani e cultura, quale significato attribuisci alla parola cultura?
“E’ il pane spirituale degli esseri umani. E’ la sete spirituale di conoscenza, di arricchimento, di ampliamento dei propri orizzonti interni ed esterni. E’ la capacità di poter interpretare noi stessi e il mondo che ci circonda. Ritengo che dovrebbe essere la meta di ciascuno di noi”.

Giovani e cultura possono andare di pari passo?
“Posso dire che, secondo me, non legano moltissimo purtroppo perché il significato e l’interpretazione che si dà alla parola cultura è un po’ fuorviato da chi dovrebbe insegnare e divulgare; questo porta i giovani – che hanno una natura molto sensibile e delicata – ad allontanarsi. Ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre ragazzi che saranno risucchiati, ad un certo punto della loro vita, da questo vortice della cultura”.

Karl Krauss affermava: “Cultura è quella cosa che i più ricevono, molti trasmettono e pochi hanno”, è così?
“Non è semplice rispondere a questa domanda: probabilmente pochi ne hanno. Sicuramente la cultura ha la sua parte divulgativa; anche io stesso, pur non essendo un docente o un operatore didattico, cerco in qualche modo di divulgare elementi – che di fatto sono quelli che ho maggiormente intuito e appreso – che dovrebbero far parte della cultura degli essere umani. Il teatro è una casa aperta verso gli altri; se costringessi le persone ad entravi avrei già fallito il mio compito perché la cultura non ha padroni. L’unica cosa che possiamo fare è quella di spalancare i cancelli e le porte per avere il maggior numero di persone possibili che ci finiscano dentro”.

Quanto è importante la cultura nel tuo mestiere e quanto è legata all’essere attore?
“Il teatro è sicuramente un elemento culturale enorme, forse uno dei più grandi in assoluto. A differenza di tutte le altre arti, si serve dell’essere umano in prima persona, della sua vita e del suo respiro. Come affermava Pirandello, “è vivo e morto allo stesso tempo”: vivo come le passioni  e le caducità dell’uomo, morto come lo è una natura morta o una statua”.

Pensi che i giovani d’oggi possano respirare appieno la cultura nel nostro Paese o si recheranno altrove?
“Mi sembra fortemente improbabile che i giovani un giorno abbracceranno totalmente la quantità infinita dell’arte di cui è provvista l’Italia; mi sembra altrettanto utopistico che le nuove generazioni vadano però a cercarla all’estero, visto che il nostro Paese detiene il 90 per cento di tutto il patrimonio artistico mondiale. Prima dei più piccoli, dovremmo capirlo al meglio noi grandi quanto sia fondamentale la cultura nella vita di ciascuno, anche se di fatto non esiste differenza d’età in questo ambito. Saper usare uno smartphone o saper cambiare canale televisivo non è altro che il frutto di una trasmissione di un tipo di cultura. Se noi riuscissimo a mettere nelle mani dei più piccoli tutti quegli elementi che compongono il patrimonio culturale del nostro Paese, potremmo ritenerci più che soddisfatti”.