Il “CantattoreSimone Cristicchi – dopo 8 anni di successi teatrali, con migliaia di spettatori e sold out ripetuti – ha incantato il pubblico del Festival di Sanremo 2019 con la straordinaria poesia in musica “ABBI CURA DI ME”, aggiudicandosi il Premio Sergio Endrigo per la miglior interpretazione, e il Premio Giancarlo Bigazzi per la miglior composizione musicale.

Dallo scorso mese di maggio è tornato sui palchi di tutta Italia con un concerto speciale, in occasione della pubblicazione dell’album (edito Sony Music) “Abbi cura di me”, prima raccolta dei suoi più noti e amati brani. Cristicchi è un artista profondo e imprevedibile: musicista, attore e autore teatrale, scrittore, oltre che Direttore del Teatro Stabile d’Abruzzo. Tutte le sue sfaccettature prenderanno forma in un concerto esclusivo, alchimia di parole, immagini, canzoni e racconti. Simone ha finalmente modo di rivelare – come solo un poeta gentile riesce a fare -, in una generosa manciata di canzoni di immediata comunicazione, le sue due anime: quella già nota, irriverente, ironica, e quella intima, poetica, osservatrice dei sentimenti, diretta erede della sua formazione legata alla grande canzone d’autore.

L’amore è l’unica strada, è l’unico motore, è la scintilla divina che custodisci nel cuore, tu non cercare la felicità semmai proteggila”. Canti questo in “Abbi cura di me”, l’ultimo suo grande successo che ha totalmente incantato il pubblico del teatro Ariston, ma cos’è secondo te la felicità, la vera felicità?

“A mio avviso lo scopo principale di ogni essere umano è quello di essere felice; veniamo al mondo proprio con questa missione. Per me è riuscire a dare frutto, a germogliare, a dare alla luce noi stessi; io lo faccio con la musica e la condivisione di quella che è la mia emozione personale. Ammetto di essere molto fortunato perché sono riuscito a trasformare le mie ferite e la mi timidezza in qualcosa di cui poi possono beneficiare tutti”.

Questa canzone è una delicata dichiarazione di fragilità ma negli anni che stiamo vivendo l’accettazione, la fiducia, l’abbandonarsi all’altro è davvero possibile?

“Credo sia l’unica via d’uscita, lo è da sempre. Nel mondo in cui l’uomo si è chiuso nei suoi recinti e nel suo tornaconto personale, ha sempre generato un’onda di negatività intorno a sé. Altro non possiamo fare se non aprirci verso l’altro, il diverso, il più fragile. Kierkegaard affermava che la felicità fosse una porta che si apre sempre verso l’esterno ed è proprio così. Crediamo oggi di essere liberi, mentre invece siamo schiavi di molte più cose, della nostra mente per esempio; non riusciamo a fermare il flusso di pensieri e non riusciamo a trovare uno spazio di libertà dove poter immaginare un’altra vita. Tutto questo porta a una situazione di grande creatività”.

E’ il 2005 l’anno in cui ti fai conoscere al grande pubblico con “Vorrei cantare come Biagio”, una curiosa canzone ironica ma raffinata: perché voler assomigliare ad Antonacci? Cosa lo distingue dagli altri cantautori italiani?

“In realtà, io non ho mai voluto cantare come Biagio; era una canzone scherzosa per dire che oggi nel mondo della musica si tende a clonare l’arte di altri e questo è sbagliato. Dovremmo mettere in evidenza la nostra diversità e la nostra peculiarità, in una parola: la nostra unicità”.

Come ti sei avvicinato al mondo della musica? Era questo che desideravi da bambino?

“Nasco come disegnatore di fumetti e avrei voluto fare il fumettista. A 16 anni, in maniera del tutto casuale, ho scoperto una chitarra nella soffitta di casa mia; questo mi ha subito proiettato in un’altra dimensione di cui mai avrei pensato di farne parte. Ho intrapreso questo bellissimo viaggio e sto ancora per fortuna viaggiando”.

Emerge il tuo essere un “Fabbricante di canzoni”, citando anche il tuo primo album in cui dimostri di avere un’anima sia ironica sia attenta osservatrice dei sentimenti. Dove ti senti più a tuo agio? Possono convivere?

“Teatro e musica posso convivere; tutti i miei spettacoli teatrali sono animati dall’arte della note. Posso dire che per me il palcoscenico è diventata un’isola felice dove poter sperimentare con calma e con pazienza quelle che sono le mie ricerche. Il teatro sarebbe il luogo dove vorrei invecchiare, anche se con “Abbi cura di me” si è nuovamente riaperto il mio cammino musicale”.

Alla 57° edizione del Festival di Sanremo hai portato “Ti regalerò una rosa”, una canzone posta in forma di lettera lacerante e commovente, di un vero microuniverso di follia. Com’è nata questa canzone?

Tutto nasce per il documentario che stavo girando nel 2006 dal titolo “Dall’altra parte del cancello” in cui cercavo di raccontare le dinamiche e la memoria del manicomio. Quando mi trovavo a Volterra, intervistando un’infermiera che aveva lavorato in uno di questi luoghi per tanti anni, lei mi ha raccontato di un uomo, ricoverato lì, che le portava una rosa rossa. Si era innamorato di lei. Quella rosa di quella tinta era capace di colorare un mondo molto grigio e abbandonato; era un segnale di vita di quel mondo crudele. Quando è arrivato il momento di scrivere questa canzone, ho messo in musica questo episodio”.

“«La mia patologia è che son rimasto solo. Ora prendete un telescopio, misurate le distanze. E guardate tra me e voi: chi è più pericoloso?», quale significato hanno per lei la solitudine e la pazzia?

“L’una è la conseguenza dell’altra; la solitudine porta a separarsi dal mondo e molto spesso è la stessa società a creare la malattia mentale. Ogni tanto accade che qualcuno debba sacrificarsi per ricordare al mondo la propria esistenza. La pazzia ci fa paura perché ognuno di noi si può sentire solo e abbandonato in un certo momento della vita, motivo per cui è fondamentale aprirsi all’altro e avere una mano solidale a cui aggrapparsi”.

Ha molto spesso portato in scena un teatro “civile” che non dimentica la lezione di penne narrative indiscusse come Paolini, Celestini, Perrotta, ma qual è il compito del teatro?

“Mantenere in vita una comunità sveglia e attenta; è l’unico luogo che è rimasto dove le persone possono ritrovarsi per interrogare loro stesse. Il teatro è uno specchio della società in cui viviamo e deve ancora apporre interrogativi sulla nostra esistenza”.

Nel febbraio 2012 viene pubblicato da Mondadori “Mio nonno è morto in guerra”, un libro che è un  affresco di vita di soldati dell’esercito italiano, di partigiani e di civili “vittime” della guerra. Cosa voleva dire essere partigiani in quegli anni di conflitti? E oggi?

“Vuol dire non lasciarsi addomesticare; il potere mediatico e politico purtroppo preferisce vederci addormentati, gli fa comodo il fatto che noi siamo disattenti. La resistenza è proprio il voler superare quella fase in cui si cerca di narcotizzare le persone. L’arte rappresenta invece un tentativo di risveglio da questo torpore, deve risvegliare gli animi. In guerra i nemici erano ben visibili, oggi invece no e quindi sono ancora più pericolosi di 70 anni fa”.

Lei è un poeta gentile, ma oggi la poesia e la gentilezza posso ancora salvarci?

“Credo di sì; il mondo è diviso a metà: da una parte c’è violenza e dall’altra c’è la gentilezza. Per quanto commettiamo errori, siamo orientati al bene e siamo fatti di bene. Il bene deve trionfare; io sono un cercatore di bellezza e ritengo che dovremmo prenderci a cuore coloro che lottano per mostrarci questa bellezza, per proteggerla e anche per consegnarla ai nostri figli”.

 

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Quando la musica, il cinema, il teatro e la televisione si uniscono al giornalismo dando vita a una passione costante per l'arte, lo spettacolo è inevitabile. Dopo aver collaborato con il quotidiano Infooggi (redazione siciliana) occupandosi di criminalità organizzata, ha aperto anche la rubrica settimanale “Così è (se gli pare)” di cui era anche responsabile con Alessandro Bertolucci. Ha collaborato con i quotidiani La Nostra Voce, Resto al Sud e con il mensile IN Magazine. Attualmente collabora con il Corriere Romagna che ha sede a Rimini, con il mensile PrimaFila Magazine che si occupa di cinema e libri, ed in ultimo ma non per importanza, con Showinair.news, l'attuale Testata Giornalistica, con articoli e interviste inedite a personaggi dello spettacolo del cinema, televisione, teatro, musica e articoli di cultura.