Beetlejuice Beetlejuice di Tim Burton dal 5 settembre al cinema
L’ex adolescente Lydia Deetz è cresciuta, ma non ha perso l’abilità di vedere i fantasmi; solo che adesso la sfrutta per portare visibilità e soldi al suo show televisivo: “Ghost house”.
La morte rocambolesca e improvvisa del padre, la riporta a Winter River, insieme alla figlia Astrid e alla matrigna Delia, per un ultimo saluto al defunto, proprio nel momento in cui viene visitata, a distanza di trentacinque anni, dalle sgradite apparizioni dell’incontenibile Beetlejuice, del quale sperava di essersi liberata per sempre.
Mentre Lydia è inseguita dalla sua vecchia conoscenza, lui è inseguito dalla sua ex moglie, che ha rimesso insieme i pezzi del proprio cadavere con una sparapunti, e anela a spettacolare vendetta.
Intanto la giovanissima Astrid, infastidita dalla stranezza della madre, fa amicizia con un ragazzo locale che cita pericolosamente Dostoevskij.
Ed è solo l’inizio. Sequel tanto atteso quanto temuto, “Beetlejuice Beetlejuice” (con Michael Keaton, Jenna Ortega, Winona Ryder, Justin Theroux e Monica Bellucci dal 5 settembre al cinema) riesce a contenere, riassumere e in parte persino spiegare la parabola creativa di Tim Burton, qui alle prese con l’inevitabile passare del tempo, i mutamenti generazionali e le derive del cinema (e dell’immaginario) hollywoodiano.
A suo modo, nel bene e nel male, quella che vediamo al cinema è un’opera-mondo forse definitiva, l’ennesima rivincita dell’analogico sul digitale.
Film d’apertura della Mostra del Cinema di Venezia, Lo spirito del film si respira già dai titoli di testa, dall’energia beffarda che Danny Elfman scarica con il temporale, poi mostri in abiti da segretari, poliziotti dell’anticrimine dell’aldilà che si accoppiano al ritorno di spose cadaveri, patrigni in odore di idiozia ed effetti speciali orgogliosamente artigianali.
In questa allegra e sanguinolenta abbondanza, Tim Burton si ritrova e mette in scena un secondo capitolo migliore del primo che restituisce, tra l’altro, al personaggio del titolo, il ruolo centrale che la prima volta gli era stato curiosamente negato.