“La nostra Raffaella”, il documentario scritto e diretto da Emanuela Imparato
A tre anni dalla scomparsa di Raffaella Carrà (5 luglio 2021) la sua memoria e la sua vita continuano ad accendere l’immaginario collettivo e il documentario “La nostra Raffaella” scritto e diretto da Emanuela Imparato (prodotto da RAI DOC e Giannandrea Pecorelli per AURORA FILM con la collaborazione di RAI TECHE), sarà in programma all’Ortigia Film Festival (6-13 luglio, Ortigia; 31 luglio-2 agosto, Avola).
Ottantasei minuti che ripercorrono la vita dell’icona pop conosciuta in tutto il mondo. Attraverso le voci dei tanti amici e personaggi con cui ha lavorato (tra cui Bruno Vespa, Enzo Paolo Turchi, Irene Ghergo, Maria Grazia Cucinotta, Noemi Bianca Guaccero, Alessandro Greco, Giovanni Benincasa), ritroviamo la “nostra Raffaella”.
Grazie anche alle tante interviste, scelte accuratamente dalla regista, e rilasciate in cinquant’anni di carriera e conservate nelle Teche della RAI (da Biagi a Fazio, da Costanzo a Mollica, da Minoli a Vespa), Raffaella si racconta, in una sorta di virtuale self-portrait, facendo riemergere le sue idee e i suoi progetti, i suoi ricordi e i suoi sogni. Ne abbiamo parlato con la regista.
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Emanuela, partiamo dall’inizio. Per te chi è Raffaella Carrà?
Raffaella Carrà era ed è rimasta per me, in fondo, quella ragazza bionda, simpatica,
libera, dolce e tosta che ballava e cantava il sabato sera, su Rai UNO. Erano gli anni
di “Canzonissima” e lei fu per tutti noi ragazzini nati negli anni Sessanta una specie
di marziana, arrivata chissà da quale Pianeta.
Nonostante io abbia lavorato in TV per
quasi trent’anni non l’ho mai conosciuta, essendomi io occupata principalmente di
infotainment e non di intrattenimento. Ma credo che questa sia stata la mia forza
nel dovermi avvicinare e raccontare un personaggio come Raffaella: c’era il rischio,
conoscendola troppo o amandola troppo, di dare alcune cose per scontate oppure
di ricalcare un racconto già fatto.
Invece mi sono avvicinata a lei con la curiosità di
chi vuole conoscere una persona, e un personaggio, di cui ha tanto sentito parlare.
Qual è stata la sua forza?
Credo che la sua forza sia stata innazitutto la sua energia: l’energia di una ragazza di
provincia che sognava il mondo dello spettacolo e che, con determinazione, studio,
talento (che da solo non basta se non ci metti la disciplina, diceva lei) è riuscita a
raggiungere il suo obiettivo: dominare il palco.
Voleva fare la ballerina, poi la
coreografa, poi l’attrice ma niente di tutto questo le aveva dato la possibilità di
esprimersi come desiderava. Infine, nel 1969, arrivò la Televisione, la RAI, un mezzo
nuovo (in Italia le prime trasmissioni risalgono al 1954) che le consentì di affermare
le tante facce del suo talento.
E suoi difetti?
Sembra che un suo difetto, se possiamo definirlo così, fosse la sua precisione, la sua
meticolosità, la sua maniacalità per il controllo: lei seguiva ogni aspetto del
programma.
D’altra parte in Televisione, se si vuole giocare in serie A, il controllo
totale del progetto e la cura del prodotto (dalla scelta degli argomenti, alle storie,
dalla scaletta del programma alla stesura dei copioni, dalla scenografia alla veste
grafica, dalle musiche ai costumi) sono fondamentali. Faceva bene!
Com’è nata l’idea di fare il documentario?
La RAI doveva, nei 70 anni dalla sua nascita (3 gennaio 1954), celebrare Raffaella
Carrà, la cui storia professionale e artistica si intreccia a quella della televisione
pubblica.
Dunque mi è stato proposto da RAI DOCUMENTARI di realizzare un
documentario che raccontasse non solo la donna e l’artista Carrà ma anche il
personaggio televisivo che ha contribuito a rendere grande la Rai e alla quale la Rai
ha dato moltissimo in termini di possibilità e di riconoscimento (dagli anni Settanta
con “Canzonissima” “Milleluci” “Ma che sera” agli anni Ottanta con “Pronto
Raffaella” agli anni Novanta con “Carramba” e poi ancora negli anni Duemila con
“Amore” “The Voice” “A raccontare comincia tu”).
Perchè dare proprio questo titolo alla tua fatica cinematografica?
Il titolo è stato concordato con RAI DOCUMENTARI. Nasce dall’idea di raccontare
Raffaella nell’anniversario della Rai, ma anche legata culturalmente al nostro Paese
di cui, fin dai suoi esordi alla fine degli anni Sessanta con “Io Agata e tu”, si è fatta
interprete: nel modo di ballare, nel modo di vestire, nel modo di pensare.
Un’Italia
che a guardar bene le somigliava: semplice e talentuosa, fedele ai valori “di una
volta” e tuttavia affacciata sulla modernità.
Sono tanti gli amici della Carrà che hanno partecipato al docufilm. Qual è il minimo comune denominatore?
Ho scelto di dar voce soltanto a chi ha conosciuto Raffaella o ha avuto modo di
entrare in contatto con lei anche per poco tempo ma in modo così intenso da
lasciare un segno indelebile:
così oltre agli amici, ai più stretti collaboratori e ai
colleghi Enzo Paolo Turchi, Angelo Perrone, Maria Grazia Cucinotta, Giovanni
Benincasa, Fabio Di Iorio, Irene Ghergo, Cristiano Malgioglio, ho cercato anche chi
grazie a lei ha scelto di intraprendere la carriera artistica oppure è stato guidato da
lei nel proprio percorso professionale:
Bianca Guaccero e Alessandro Greco. Molti
mi hanno chiesto perché ho voluto intervistare Bruno Vespa: Raffaella dal 1996,
anno di nascita di “Porta a Porta”, al 2004 è stata invitata spesso nel salotto più
famoso della Rai, non solo per presentare i suoi programmi ma anche per
intervenire su temi che le stavano a cuore, come il tema dell’emigrazione, centrale
in un programma come “Carramba”, o delle adozioni internazionali.
Se dovessi pensare a un’erede artistica della Carrà, chi penseresti?
Non mi viene in mente nessuna artista. La difficoltà sta nel trovare qualcuno che
sappia far bene tutto e che sappia riunire in un unico personaggio diversi talenti e
linguaggi.
Non solo, dovrebbe essere un personaggio che sia capace di lasciare l’ ego
fuori dal suo lavoro: insomma che abbia la sana ambizione di diventare famoso
senza mai dimenticare che tutto quello che fa, lo fa per piacere al pubblico e
conquistarlo. Questo Raffaella lo sapeva bene quando diceva: “Sono una creatura
delle gente, e della gente rimango”.
Cosa speri arrivi al pubblico con il tuo docufilm?
Spero che grazie a questo documentario possa arrivare al pubblico un modo diverso
di guardare a Raffaella Carrà: meno personaggio iconico, più persona vera. Anche
grazie al fatto che a raccontarsi nel documentario è proprio lei, Raffaella: ho
ascoltato tutte le interviste che lei ha rilasciato in Rai dalla fine degli anni Sessanta al
2019, anno in cui per l’ultima volta è stata intervistata da Fabio Fazio.
E ho
selezionate le parti che mi sono sembrate più vicine alla sua anima. Dunque è la sua
voce, in una sorta di auto ritratto immaginario, a condurci nel racconto della sua vita
e della sua carriera, cui fanno da contrappunto le voci di amici, collaboratori e
colleghi.
Mi auguro davvero che chi ha conosciuto solo alcuni aspetti di Raffaella
Carrà oppure i giovanissimi che di lei conoscono solo la versione remixata da Bob
Sinclair di “A Far l’Amore comincia tu”, scoprano che sotto il caschetto biondo non
c’era solo la regina del Pop italiano (ricordiamo che Raffaella è stata amatissima
anche all’estero) ma anche una donna molto moderna nonostante fosse nata nel
1942: una donna piena di voglia di vivere, curiosa e soprattutto libera.