Paola Sambo in “Amen” di Andrea Baroni: «Raccontiamo la religione come un rifugio e una trappola insieme»

Sara, Ester e Miriam sono tre sorelle che hanno sempre vissuto in casolare, dove il padre e la nonna le hanno cresciute. Sono una famiglia molto cristiana che rispetta alla lettera i dettami delle Sacre Scritture.
Sara, delle tre figlie, è la maggiore, quella più legata agli studi religiosi e per questo mistica. In armonia con la terra che coltiva e in contatto diretto con la sua parte emozionale e spirituale, è la figlia preferita.
Ester è la più disinibita e reazionaria, vorrebbe vedere che c’è oltre la vallata ed è alla continua ricerca della sfida. L’educazione religiosa e sociale è affidata a nonna Paolina che guida la piccola Miriam e le due sorelle in un Cammino stretto e difficile, prevedendo e augurandosi la Salvezza per le nipoti.
L’arrivo nel casolare di Primo, un altro nipote di Paolina, crea scompiglio nella famiglia e le decisioni che le sorelle prenderanno di fronte al primo giovane maschio che abbiano mai visto, cambieranno per sempre la loro vita. Questo e molto altro è AMEN di Andrea Baroni dal 27 giugno al cinema, vincitore del Premio Interfedi al Torino Film Festival.
Il cast del film è composto da Grace Ambrose, Francesca Carrain, Luigi Di Fiore, Valentina Filippeschi, Simone Guarany e Silvia D’Amico.
Nel cast nel ruolo della capostipite della famiglia troviamo ancora una volta un’intensa Paola Sambo, attrice che il pubblico per conosce.
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Partiamo dall’inizio. Come nasce “Amen”?
Da una visione, una suggestione, dal caso che ha fatto imbattere Andrea (Baroni, regista e autore) nel luogo che poi è diventato il nostro set. In quel casolare ha rivisto la casa dei suoi nonni, le sue estati da bambino. In pochi giorni, è nata la sceneggiatura di Amen.
Ci spieghi il titolo?
Personalmente lo trovo meravigliosamente tragico: “Così sia”, il fatalismo della totale accettazione.
Cosa ti ha spinto ad accettare questo film?
Il soggetto era forte, il personaggio che mi veniva proposto mi ha fatto paura. Ho visto i cortometraggi di Andrea e mi è piaciuta la forza evocativa del suo modo di girare, le atmosfere sospese, la rarefazione … ho sentito che di quel soggetto avrebbe fatto un bellissimo film.
Tu sei Paolina, come ti sei preparata per interpretarla?
Ho pensato al furore cieco, a una prepotenza animale, a traumi infantili che esigono riscatto, alla difficoltà di amare, gli altri e sé stessi.
Come la descriveresti?
Una personalità involuta, con una capacità affettiva mai sviluppata, che vive aggrappata ad un credo religioso assoluto e feroce.
Ama le nipoti condizionatamente, se sono brave e buone, non perdona eventuali deviazioni dal cammino che ha tracciato per loro. Per il figlio ha un affetto morboso e possessivo. Una donna ottusa. Una despota.
Per questa famiglia, la religione cosa significa?
L’unico parametro con cui confrontarsi per una condotta morale e sociale, un dogma. Probabilmente un rifugio e una trappola insieme.
Per te invece cosa rappresenta?
Dopo un’infanzia sentitamente religiosa e conseguente crisi adolescenziale, oggi la religione è uno dei tanti (ma non tra i primi) argomenti su cui mi interrogo senza darmi risposta. Sono agnostica.
Esiste una libertà tra il dogma e il peccato, secondo te?
La libertà di andare contro il dogma assumendosi la responsabilità di peccare.
Perchè tanta rigidità in un credo religioso?
Eh, infatti, perché? Per usarlo come scusa; di sopraffazione, di potere, di controllo.
Cosa ti auguri arrivi del film?
La bellezza dei luoghi, dei volti, dei lunghi silenzi. L’emozione della storia, come un pugno allo stomaco. La riflessione su quanto l’integralismo e il fanatismo siano stupidi e causa di violenza e di sopraffazione.
Nuovi progetti?
A luglio esce su piattaforma “Those about to die”, in cui interpreto l’Augur. E’ una serie ambientata nell’antica Roma con un cast stellare diretto da Roland Emmerich.
Il prossimo autunno sarò, in un altro ruolo che mi è tanto piaciuto fare, su Rai 2 con “L’Ispettore Stucky”, protagonista Giuseppe Battiston, la regia è di Valerio Attanasio. C sarà poi il teatro e poi chissà; ogni giorno porta nuove cose (o ne toglie) ed è uno degli aspetti che amo del mio lavoro, la sorpresa continua, la scommessa.
A volte penso che se non avessi fatto l’attrice sarei forse tristemente caduta nel gioco d’azzardo.