Lo vediamo fino a domenica al teatro Bellini di Napoli e poi ancora in giro per l’Italia con “La classe operaia va in paradiso” di Claudio Longhi, lo spettacolo che racconta la storia dell’operaio Lulù Massa, stakanovista odiato dai colleghi, osannato e sfruttato dalla fabbrica BAN che si intreccia con le vicende che hanno accompagnato la genesi e la ricezione molto contestata del film di Elio Petri.

Simone Francia, tuttavia, non è solo parte integrante di questo spettacolo teatrale che sta registrando sold out un po’ ovunque. E’ un interprete capace di unire realtà e ironia, un mix indispensabile per far arrivare l’odore del palcoscenico a chiunque, soprattutto alle nuove generazioni. Ne abbiamo parlato proprio con lui.

Ti stiamo vedendo ne “La classe operaia va in paradiso” in giro per l’Italia. E’ la seconda tournée dopo la scorsa stagione teatrale. Perché hai accettato di farne parte?
“Sono anni che collaboro con un gruppo di lavoro eccezionale, un gruppo che ha sposato una filosofia teatrale molto particolare, motivo per cui per me è stato naturale esser parte integrante di questo spettacolo. Si tratta di una pièce diversa da quelle portate in scena fino ad ora, un vero e proprio punto di svolta. Mi piacerebbe molto che a tutti coloro che verranno a vederci arrivasse tutto l’impegno che ci abbiamo messo nel portarlo in scena, dai tecnici ai miei compagni di viaggio sul palcoscenico”.

La classe operaia, oggi come oggi, deve andare in paradiso secondo te? Perché?
“Ritengo sia doveroso capire cosa sia attualmente la classe operaia e chi vi appartiene. Se un tempo erano di fatto coloro che lavoravano alla catena di montaggio, oggi questa categoria si è ampliata. Comprende infatti i fattorini, gli impiegati di Amazon e dei grandi ipermercati e tutti quelli che devono sottostare a tempi e ritmi infernali come quelli di una fabbrica. Con tutti gli agi di cui disponiamo, ci sentiamo parte integrante di una classe sociale superiore a quella a cui effettivamente apparteniamo anche se di fatto non è così. Corriamo quindi seriamente il rischio di non andare in paradiso”.

Tutto è iniziato lasciando la tua Alessandria per la volta di Roma. Cosa porti e cosa lasci della tua città quando sei in giro per l’Italia?
Tutto perché è sempre con me: la sua nebbia, il suo freddo invernale, il suo caldo estivo e il mio Borsalino. Mi porto dietro il mio modo di viverla perché fa parte di me, in quanto mi ha formato e cresciuto.

Modena, una città a te molto cara immagino. Per quali motivi?
E’ la mia seconda casa, la cui cucina è imperdibile. La conosco molto bene, ci lavoro da molti anni. E’ il perfetto connubio tra Alessandria, paese di provincia non bellissimo – anche se è la mia città – e Roma, gigantesca capitale di arte e cultura”.

Com’è scoccata la scintilla per la recitazione?
Ho cominciato ad avvicinarmi al teatro alle superiori perché la mia docente di inglese mi impose di partecipare al provino del corso di recitazione che avrebbero fatto. Per evitare che mi assillasse, ho “accettato”. Devo ammettere che mi è piaciuto talmente tanto da portarmi a tentare di entrare all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica a Roma e per fortuna è andato tutto per il meglio”.

Cosa rappresenta per te il palcoscenico?
E’ esattamente come l’incontro con un amico con il quale si è sé stessi, senza maschere, con il quale ci si sente legati da un filo che non si spezza”.

Hai fatto parte anche di progetti televisivi e cinematografici, ma cosa hanno in più rispetto al teatro?
Nulla di più, se non la visibilità. Sono mezzi differenti, con regole diverse ma che cercano sempre di far arrivare emozioni”.

Qual è il rapporto con i giovani che ti seguono?
Mi confronto molto con loro dopo la visione degli spettacoli a cui prendo parte. Per me è fondamentale instaurare un dialogo diretto con gli studenti delle scuole medie, superiori e dell’università proprio perché appartengono a quella fascia d’età che manca al teatro oggi, soprattutto perché hanno un’idea del palcoscenico che non è esattamente moderna. Mi interessa capire quali siano le loro aspettative e comprendere i motivi per cui non vadano a teatro. Il risultato è che manca purtroppo loro l’informazione su cosa sia effettivamente e realmente il palcoscenico oggi. Il teatro è uno scambio di idee partecipato, un rapporto concreto e non filtrato da uno schermo”.

Il teatro avrà sempre un futuro per te?
Assolutamente sì perché esisteranno sempre persone con la voglia di comunicare emozioni ad altre. Potrà cambiare forma o vestito, potrà quindi evolversi ma non morirà mai. Il teatro però non deve mai vivere nel passato ma essere a disposizione dei giovani e delle future generazioni. Il teatro dovrebbe essere senza mura, uscire dal teatro stesso”.

I tuoi prossimi progetti?
Vorrei continuare a lavorare con ERT, Emilia Romagna Teatro, partecipare a Miss Italia e diventare Batman”.

 

Previous article“Cafarnao – Caos e miracoli”, il film verità sul Libano
Next article“Figli di nessuno”, Fabrizio Moro torna con un nuovo emozionante album
Quando la musica, il cinema, il teatro e la televisione si uniscono al giornalismo dando vita a una passione costante per l'arte, lo spettacolo è inevitabile. Dopo aver collaborato con il quotidiano Infooggi (redazione siciliana) occupandosi di criminalità organizzata, ha aperto anche la rubrica settimanale “Così è (se gli pare)” di cui era anche responsabile con Alessandro Bertolucci. Ha collaborato con i quotidiani La Nostra Voce, Resto al Sud e con il mensile IN Magazine. Attualmente collabora con il Corriere Romagna che ha sede a Rimini, con il mensile PrimaFila Magazine che si occupa di cinema e libri, ed in ultimo ma non per importanza, con Showinair.news, l'attuale Testata Giornalistica, con articoli e interviste inedite a personaggi dello spettacolo del cinema, televisione, teatro, musica e articoli di cultura.