Quella di Mariella Nava, all’anagrafe Nava Maria Giuliana, è stata e continua ad essere una vita dedicata alla musica, una musica delicata ma intensa che ha accompagnato molte generazioni raccontando al realtà che ci circonda. In attesa della sua ultima fatica, abbiamo fatto una bella chiacchierata con lei.
Mariella, una vita per la musica: com’è scoccata la scintilla?
“La musica ce l’hai dentro, nasce con te, poi un giorno un tasto, una corda suona e tu entri in risonanza. Credo che questo per me sia avvenuto il giorno in cui un pianoforte verticale da studio è entrato in casa mia per scelta di mia madre che voleva far studiare la mia sorellina più grande di me di qualche anno: lei fece qualche lezione poi smise, io me ne innamorai”.
Se le dico Gianni Morandi – e mi riferisco agli inizi – , lei cosa mi risponde?
“Una telefonata con la sua voce e neanche ci credevo che fosse lui, mi chiese se fossi io ad aver mandato a lui quella cassettina con dentro incisa la canzone che parlava del rapporto genitori – figli. Mi disse: “….accidenti come scrivi bene! Ma quanti anni hai? È insolito per una ragazza scrivere così, mi hai emozionato! Complimenti !” Pensavo fosse uno scherzo di un mio amico che faceva bene le imitazioni a cui avevo segretamente raccontato di aver mandato le mie canzoni all’ attenzione di qualche artista e discografico. Dopo un attimo dovetti crederci perché mi raccontò di avere inserito la mia canzone “Questi figli” in uno sceneggiato che stava girando per la Rai e nel suo disco “Uno su mille” che sarebbe uscito dopo poco. Era proprio vero e il mio sogno iniziava a prendere vita”.
“Questi figli”, un brano scritto a metà degli anni ottanta, ma direi ancora profondamente attuale, è d’accordo? Perché?
“La distanza generazionale e il cambio di vita ci saranno sempre. Quando si fa il salto dall’altra parte, ovvero quando si è genitori, la visuale cambia; si guardano le cose da un altro punto di vista, con ansia e ci si dimentica di come eravamo in quella fase della vita, quando la stessa esplode dentro tutti i ragazzi con l’ urgenza di amare, correre, sapere, fare esperienze, con tutto il bisogno di libertà, lontano dal controllo, ma senza mai tradire gli insegnamenti che sicuramente grideranno sempre dentro fortemente”.
I primi contratti e i primi successi ma per lei cos’è il successo?
“Per me è nient’ altro che la realizzazione di quello che si sa fare, come in qualsiasi altro mestiere. L’ arte nasce e si esprime a prescindere dal business che c’è intorno. L’ arte c’ è sempre, comunque e per sempre se c’è; il business non sempre c’è e spesso dove c’è non è detto che le sia imparentato”.
“Come mi vuoi” scritta per Eduardo De Crescenzo nel Sanremo del 1989 e ricantata poi da Mina, ma come dovremmo essere oggi, secondo lei?
“La mia era una domanda interiore più che verso qualcuno è è per cercare di tirare fuori il modello più consono a chi vorremmo si innamorasse perdutamente di noi. Oggi ho paura che la gente voglia mostrarsi più cattiva di come in realtà sia, ma per difesa, qualcuno ha messo nell’ aria il virus della paura. Faccio fatica a pensare all’Italia come un Paese abitato da un popolo che non aiuta e non è ospitale, noi abbiamo sempre teso una mano a tutti perché è naturale per il nostro dna. Non ci credo al fatto che si chiuda il cuore, non è nella nostra musica, non è nella nostra anima, non è nel nostro sole, non è nella nostra storia, non ci siamo mai stati dalla parte dei cattivi e non ci saremo mai”.
“Spalle al muro”, scritta per Renato Zero, per il Sanremo ’91, chi e cosa dovremmo mettere con le spalle al muro?
“L’ idea che ci sia un’età in cui non si è più utili a nessuno; tutti i sociologi ci raccontano che demograficamente la nostra società è fotografata come “vecchia” nel senso di popolata più da anziani che giovani. Dovremmo quindi abituarci all’idea di non auto rottamarci, di pensare a come sentirci sempre vivi e attivi fino a tardi, inseriti nel contesto sociale, oltre a forme di organizzazioni che prevedano la qualità migliore di vita degli anziani stessi da tutti i punti di vista”.
“Per amore”, scritta per Andrea Bocelli, ma resa celebre in tutto il mondo da un’infinità di interpreti; cosa sarebbe necessario fare per amore e cosa invece no?
“Tanto, per amore, la regola vuole che facciamo cose impensabili: ci spingiamo oltre l’ impossibile. Sicuramente “Per amore” non bisognerebbe permettere a nessuno di farci del male e mi riferisco alle violenze a volte accettate silenziosamente dalle donne, questo lo trovo inammissibile; tutto il resto lo trovo lecito quando si è innamorati”.
“In nome di ogni donna” è un altro grande suo successo con una tematica davvero molto forte. Cosa significa essere una donna nel 2019?
“Significa avere più sicurezza, sentirsi autonome nelle scelte, significa studiare, capire, avere possibilità di pensiero e di parola soprattutto, anche se molto c’ è ancora da fare, sul piano della parità in campo professionale”.
Il suo ultimo album di inediti si intitola “Epoca”, per festeggiare il trentennio di carriera ma cosa stati questi 30 anni?
“Trent’anni anni di me: rifarei tutto, non cambierei né una nota, né una parola, né un passo, tanti i miei “no” detti e tante convinzioni che nel tempo mi hanno fatto rallentare prima ma anche prendere poi le mie brave soddisfazioni, trent’anni anni di amici buoni e di conquiste reali”.
Cosa si augura per il futuro?
“Spero che torni a suonare liberamente tutta la musica buona intorno a belle parole”.