Alessandro Averone al cinema con “L’invenzione della neve” : «Carmen e Massimo si mettono in gioco e sbagliano perché vivono»


Carmen ha un passato non facile. Da bambina è stata tolta alla madre, insieme alla sorella Sonia, ed è stata inserita in una casa famiglia. Ora è a sua volta madre di una bambina, Giada, che ha avuto con il suo compagno Massimo.
La bambina è stata affidata dal giudice al padre e Carmen la può vedere solo al sabato ogni 15 giorni. Lei non intende accettare questa decisione perché, nonostante gli errori commessi in passato, si sente e vuole essere madre a pieno titolo.
Presentato in anteprima alla Mostra di Venezia, il film “L’invenzione della neve” – dal 14 settembre al cinema – è diretto da Vittorio Moroni e prodotto da 50N con la collaborazione di Cinnamon Digital Cinema e il contributo dell’assessorato regionale del Turismo, dello sport e dello spettacolo-Sicilia Film Commission nell’ambito dell’accordo di programma quadro “Sensi Contemporanei Cinema e Audiovisivo”.
Il film ha aperto la sezione Notti Veneziane realizzata dalle Giornate degli autori in accordo con Isola Edipo. Tutto può sembrare come una favola, attraverso le immagini di Gianluigi Toccafondo che ci trasportano in un mondo subacqueo in continua trasformazione per condurci poi in una foresta, metafora della vita.
Si tratta di una favola che Massimo e Carmen raccontano alla loro Giada per spiegarle il suo essere venuta al mondo, una favola che però non avrà il lieto fine.
Il forte tratteggio di Carmen che lotta contro l’ex marito Massimo, la sua nuova fiamma, l’assistente sociale e la suocera, inquadrano il cinema di Moroni in uno sguardo completamente nuovo e per nulla scontato.
“L’invenzione della neve” scava nell’intimità della protagonista per estrarne dolore e follia; dà un volto al “troppo amore” di una madre devastata dal quotidiano e ha la pazienza di fare un passo indietro, guardandosi bene dall’aderire a semplici soluzioni di parteggiamento e innescando nello spettatore una risposta incerta ai chiaroscuri morali che ombreggiano ogni relazione interpersonale della protagonista.
Ne abbiamo parlato con il protagonista maschile, ovvero Alessandro Averone, attore ben noto al pubblico per il grande talento che possiede, diviso tra piccolo e grande schermo, passando per il teatro.
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Alessandro partiamo dall’inizio. Sei reduce dal successo al festival di Venezia dove hai presentato il film. Come ti senti?
E’ stato molto bello ed emozionante; partecipare alla Mostra del Cinema è stato qualcosa di unico. Il film è stato accolto molto bene.
Cosa ti ha portato ad accettare questa sfida cinematografica?
La storia era molto ben raccontata e la metodologia di lavoro del regista e degli altri colleghi era molto interessante.
Moroni ha saputo raccontare la storia in maniera documentaristica e con un’impostazione teatrale; le scene in tutto erano sei, da 25 minuta l’una. Recitavamo con forti margini di improvvisazione a tal punto da non renderci conto della presenza della macchina da presa.
Possiamo dire che questo è un film sulle ossessioni?
Soprattutto da parte di Carmen. Nonostante la storia d’amore finisca tra i due, rimane una forte attrazione che può risultare pericolosa.
Massimo e Carmen che tipo di persone sono?
Senza pelle, immediati, non chiusi in se stessi ed eccessivamente reattivi. Attraversano una parte dark piuttosto forte per lei e molto meno per lui.
Sono esseri umani non tiepidi ma dalle tinte piuttosto forti. Dopo la fine della relazione con Carmen, Massimo cerca di impostare la relazione su nuovi codici d’affetto.
La loro idea di famiglia?
Si tratta di una famiglia piuttosto protettiva nei confronti della bambina, una famiglia che cerca difendere dal mondo esterno. Emerge un eccesso di amore e di emozioni, anche se Massimo comprenderà che non si può vivere così e cercherà una soluzione.
La piccola Giada, tua figlia cinematografica, come vede i genitori?
La piccola non compare quasi mai in scena; vive la famiglia raccontata da noi; ha un rapporto buono con la nuova compagna di Massimo, donna che non viene vista bene da Carmen.
Se inizialmente possiamo parlare di una favola, poi il tutto si trasforma in altro. L’amore come viene visto?
Carmen non si rassegna, vuole ancora conservare la storia d’amore della sua famiglia; Massimo comprende invece che quest’affetto verso la madre di sua figlia può trasformarsi.
Errori come opportunità, sembra che il vostro film inviti alla possibilità, a una seconda occasione, al credere alla vita nonostante le difficoltà. E’ così?
C’è una diversa consapevolezza degli errori fatti ed emerge il tentativo di andare oltre, chi lo fa in maniera bislacca e chi in maniera più corretta.
Tutto è in funzione della vita, dell’amore per una bambina. Ognuno cerca di liberarsi dal proprio passato e dai propri fantasmi ma non è così semplice.
Cosa ti auguri che arrivi al pubblico?
Mi auguro che sia investito di emozioni e di compassione che possa comprendere che quella che raccontiamo è una storia d’amore; questi due esseri umani si mettono in gioco e sbagliano perché vivono, altrimenti sarebbe un vivere a metà, quindi un non vivere.
Nuovi progetti?
Il 18 andrò a Milano a ritirare il premio Mariangela Melato. Tornerò in scena con “Il compleanno” di Peter Stein e continuerò con “Il giuocatore” di Carlo Goldoni.