“Centoventisei” di Livia Gionfrida: «La mia ricerca artista consiste nell’incontro dal vivo con la bellezza»
Protagonista silenziosa di questa insolita pièce, che si dipana tra cronaca, dramma sociale e commedia dell’assurdo, è una Fiat 126, che la mafia decide di rubare per compiere un attentato, uno di quelli tristemente passati alla storia.
Gasparo (e non Gaspare, “perché a Palermo i nomi dei maschi devono finire con la o”) è il killer incaricato del furto, che realizzerà con la complicità del picciotto Iachino, “apprendista mafioso”.
In un contesto di degrado sociale talmente estremo da apparire surreale, tra colpi di scena e imprevisti – dovuti anche al fatto che Cosima, moglie di Gasparo, è convinta che le sue gravidanze si interrompano sistematicamente ogni volta che il marito commette un omicidio – si snoda una vicenda dai contorni ad un tempo macabri e grotteschi.
“Centoventisei”, il nuovo testo di Claudio Fava e Ezio Abbate con la regia di Livia Gionfrida, è in scena al teatro Biondo di Palermo dal 12 al 23 aprile e dal 28 aprile al 7 maggio al teatro Stabile di Catania.
La pièce indaga da una prospettiva storica del tutto inedita, minima, addirittura sarcastica, uno degli eventi più importanti della storia italiana dell’ultimo trentennio.
Lo fa disegnando le personalità dei “pesci piccoli” dei clan mafiosi, quelli a cui viene dato il più semplice tra tutti gli incarichi.
La loro quotidianità aberrante si rivela pian piano come l’assurdo terreno su cui si gioca la strategia stragista del biennio ’92-’93. In scena David Coco, Naike Anna Silipo e Gabriele Cicirello. Ne abbiamo parlato con la regista.
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Livia, cosa ti ha portato ad accettare questa sfida teatrale?
Claudio Fava ed Ezio Abbate mi hanno cercato per propormi questo testo; ero piuttosto restia all’inizio ma hanno insistito dicendo anche che mi avevano molto apprezzata in alcune mie drammaturgie.
Ho deciso così di leggere un testo che di fatto mi ha spiazzato perché non racconta direttamente dell’attentato a Borsellino ma ne prende solamente spunto per raccontare un’altra storia, sempre di mafia, sempre legata alla Sicilia.
Non ho potuto rifiutare.
Cosa puoi raccontarci di Gasparo?
E’ il protagonista dello spettacolo. E’ un killer per destino di nascita e per incoscienza. In una magica notte palermitana in cui nulla si muove, gli viene chiesto di rubare una 126, una richiesta piuttosto insolita dato che il suo compito era sempre stato quello di uccidere.
Eppure, quella non sarà un’automobile come le altre. A metà spettacolo, Gasparo farà una sorta di presa di coscienza in una vita di freddezza, se potesse tornare indietro forse avrebbe voluto una vita più tranquilla.
Quella che ci raccontate è una storia che ci parla di morte e di vita, che attraversa la cronaca per trasfigurarsi in favola. E’ giusta questa definizione?
Credo di sì. Da quell’attentato, la 126 è sempre stata considerata l’oggetto di una morte inaccettabile. Partiamo da un fatto di cronaca molto noto per raccontare un’altra storia.
Fare teatro nella tua Sicilia, cosa significa per te?
Sono scappata dalla mia terra con rabbia e con un senso di mancanza di speranza perché volevo essere un’artista e una donna libera.
Vi sono ritornata con una maggiore consapevolezza di quanto la mia Sicilia possa essere magica, violenta e contraddittoria. Il teatro lo sto praticando da pochi anni qui.
Il sacro fuoco dell’arte quando ha bussato nella tua vita?
Ho iniziato a fare teatro al liceo classico di Siracusa e la mia prima esperienza è stata con “Le Troiane” di Euripide a 14 anni.
Da quel momento ho capito quale sarebbe stata la mia vita, ovvero cercare e condividere la bellezza con le persone e il loro incontrarsi dei corpi.
Alterni i lavori creati all’interno di territori “difficili” come istituti minorili, carceri, periferie a collaborazioni con teatri e fondazioni. Ci spieghi meglio?
Non ne farei un’idea di confine o di alternanza, bensì una ricerca della bellezza dell’arte sia che si tratti di un teatro sia di un carcere. Tento sempre di fare in modo che la magia teatrale avvenga, indipendentemente dal luogo.
In cosa consiste la tua ricerca artistica?
Nell’abbraccio dell’altro, nell’incontro dal vivo con la bellezza, affondando le radici nell’emozione.