THE WHALE, dal 23 febbraio al cinema


Charlie è un uomo obeso di una cinquantina d’anni. Vive solo, passa le giornate seduto sul divano tenendo corsi di scrittura online, guardando la tv e mangiando compulsivamente.
Nella sua vita ci sono Liz, amica infermiera che si prende cura del suo stato di salute sempre più precario, e la figlia Ellie, diciassettenne che ha abbandonato quando era bambina per seguire l’amore della sua vita, Adam, il cui successivo suicidio è alla causa della sua obesità.
Sentendo la morte avvicinarsi Charlie decide di spendere il tempo che gli resta per riconciliarsi con Ellie, la quale non gli ha mai perdonato la sua scelta.
A 14 anni di distanza dal Leone d’oro per The Wrestler e dopo i passaggi di Il cigno nero e Madre!, Aronofsky torna in competizione a Venezia con la trasposizione di una pièce teatrale di Samuel D. Hunter, scritta e messinscena nel 2012 con “THE WHALE” (da giovedì al cinema).
Il viaggio inizia da un tassello nero e una voce calda e suadente, che ci introduce nel mondo dell’immaginazione.
Per un attimo ci separiamo dal corpo – dall’idea che possa esistere il corpo – e diventiamo puro sentire.
Siamo dentro al dramma, e sarebbe stato bello restarci più a lungo, per entrare in maniera lenta e progressiva nell’intimità di Charlie (interpretato da Brendan Fraser), l’inglese protagonista del nuovo film di Darren Aronofsky, già in concorso a Venezia 79.
La sceneggiatura, scritta da Samuel D. Hunter, autore della pièce originaria, vira invece bruscamente verso un’altra strada: mostrare subito quel corpo, per costruirci sopra un castello di menzogne, di ricordi, ma soprattutto per prenderne distanza attraverso la commedia.
Del resto, siamo pronti per addentrarci nell’intimità di un essere umano, che agli occhi degli altri e di se stesso risulta disgustoso? Decisamente no.
Sarebbe troppo respingente e doloroso. Ci obbligherebbe a confrontarci, in maniera troppo violenta anche se soft, con quel primato che ci distingue e ci rimpicciolisce: la vista.