Elisabetta Mazzullo e la sua Lara ne “Le otto montagne”: « L’amicizia permette di guardare in noi stessi, di ascoltarci e di definirci»
“ Non pensavo di trovare un amico come Bruno nella vita e ne che l’amicizia sia un luogo dove metti le radici … e che resta ad aspettarti ”.
Questa è la frase con cui si apre il film “Le otto montagne” di Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch dal 22 dicembre al cinema, tratto dall’omonimo romanzo pluripremiato di Paolo Cognetti, vincitore nel 2017 del Premio Strega e tradotto in ben 35 lingue in tutto il mondo.
Prodotto da Wildside, Rufus, Menuetto, Pyramide Productions e Vision Distribution e premiato al Festival di Cannes con il Premio della Giuria, il film ruota tra due amici diversi tra loro, Pietro e Bruno, uno è figlio della metropoli torinese che da bambino va in vacanza in un paesino sui monti valdostani dove vive l’altro.
Nasce tra loro un legame che vive nel tempo, perdendosi di vista e rincontrandosi ma vivendo la montagna in modi differenti.
Oltre a Luca Marinelli e Alessandro Borghi, troviamo un’intensa Elisabetta Mazzullo (Ph posate, Luca Carlino e Ph. di scena, Alberto Novelli) nel ruolo di Lara, donna concreta e molto umana, inizialmente contesa dai due migliori amici.
“Le otto montagne” rappresenta il primo vero grande progetto al cinema della sua carriera, oltre che le sue ottime partecipazioni in teatro e nel piccolo schermo. Non solo attrice, Elisabetta è anche sceneggiatrice, regista e cantante.
Di questo suo debutto al cinema, del suo percorso e dei suoi progetti abbiamo parlato con lei.
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Elisabetta, partiamo da “Le otto montagne”. Come hai trovato il libro? Cosa trovi di meraviglioso nella scrittura del romanzo di Paolo Cognetti?
La sua è una scrittura efficace ed essenziale che riesce a raccontare tantissimo; si presta bene al racconto cinematografico. Lima le frasi a tal punto da tenere solo quello che serve; con pochissimo, riesce a restituire tanto.
La sua scrittura, unita alle tematiche affrontate, ha la continua ricerca di sè come fil rouge. E’ sufficiente una leggenda nepalese per fare una corretta sintesi: un piccolo uomo che girovaga per le otto montagne per scoprire la sua vera essenza.
Trovo che Paolo rispecchi molto la scrittura di Ernest Hemingway.
L’amicizia che valore ha?
Un valore enorme; è però anche un pretesto per parlare di molto altro, ovvero di quanto possa essere originale la vita che molto spesso stupisce andando incontro al suo destino.
L’amicizia permette di guardare in noi stessi, di ascoltarci e di definirci nella nostra evoluzione.
Nel film tu sei Lara, una donna solo apparentemente ruvida ma realmente malinconica. In cosa consiste la sua umanità?
Definirei Lara una donna molto concreta, è una donna che sta sul piano della realtà. Accetta di rimanere vicino a Pietro, nonostante l’amore sia finito e di rimettersi in gioco con un altro uomo portando avanti il suo sogno.
Per quanto sia solo apparentemente forte, dentro soffre; emblematica infatti è la frase “Non posso aiutare un uomo che non vuole essere aiutato”.
Il tuo personaggio conosce piuttosto bene sia Pietro sia Bruno, cosa la lega ad entrambi?
Lara si innamora di uomini simili a lei. E’ attratta dal talento di Pietro che cerca la sua vocazione nella scrittura, girando il mondo; di Bruno ama il suo saper stare nella natura, un mondo non così distante da lei perché è lì che ci sono le sue radici. Anche Lara è alla ricerca di sè.
Nel film Lara spiega di avere un gran bisogno di vivere e di sentire la montagna: tu che rapporto hai, invece?
L’ho scoperta tardi. Da piccola i miei me l’hanno fatta odiare nel senso che era sinonimo di fatica, sudore e di passeggiate obbligatorie. Crescendo, ho spazzato via tutti i pregiudizi e ne ho riscoperto il valore contemplativo, solitario e vitale.
In cosa senti di voler bene a Lara?
Lo stare a guardare, in silenzio. Amo il suo parlare poco ma bene, evitando il superfluo.
Per questo film ha segnato il debutto sul grande schermo ma la recitazione quando è arrivata?
Posso dirti che ho sempre avuto il desiderio di recitare; da piccola imitavo le compagne di classe. Mi sono poi “buttata” nello studio della filosofia e credevo che il mio futuro fosse quello di insegnare.
Mi sono poi fermata perché mi stavo occupando troppo della testa. Tutto è partito da un laboratorio di mimo a Rovigo, poi è stata la volta dello Stabile di Genova e da lì non mi sono più fermata.
Per te essere attrice cosa significa?
La recitazione mi ha permesso di ritrovarmi, conoscermi meglio e di vivere altre vite.
Questo è sicuramente un periodo d’oro per te perché il tuo fedele compagno – ovvero il teatro – di viaggio non ti lascia. Sei infatti in scena con “Lezioni di fisica” in scena fino al 22 gennaio al Teatro Due di Parma, poi sarà la volta il 28 gennaio a Vicenza con “Banana Split” e il 29 Gennaio a Verona con “Mille metri di vuoto”. Il teatro per te cosa rappresenta?
E’ come fosse una mamma ed un papà, le mie radici; ho preso tantissimo e mi sta restituendo tanto. Ho trascorso con lui tanto tempo. Il set invece è come fosse un amante, non lo conosco ancora così bene.
“Benvenuti a teatro. Dove tutto è finto ma niente è falso”, diceva Gigi Proietti. E’ così?
Certamente, almeno lo spero. Non serve il reale, è sufficiente il verosimile. Non dobbiamo vedere la foresta, basta solo un albero, basta una vela per immaginare una nave. Il teatro è pura magia.
Del Bettedavis duo, invece, cosa puoi dirci?
Siamo due artigiani della musica dal 201. Il nome vuole essere un omaggio all’artista, oltre che essere l’acronimo del nostro nome. Raccontiamo storie, unendo la parola recitata con quella cantata. La musica è un ottimo veicolo per andare altrove.
Hai ancora sogni nel cassetto?
Mi piacerebbe tornare alla regia mettendomici dentro anch’io perché fino ad ora sono sempre stata un occhio esterno.
I tuoi prossimi progetti?
Sarò in teatro con il Riccardo III.