Valerio Di Benedetto ne “Il Nostro Generale”: «Sarò Patrizio Peci, un uomo con l’aria da lupo solitario»
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Nel 1973, il generale dalla Chiesa viene trasferito da Palermo – dov’era impegnato nella lotta alla mafia – a Torino, dove le Brigate Rosse stanno iniziando a rivendicare le loro prime azioni di propaganda armata.
Il generale è il primo a capire l’entità del pericolo per la già fragile democrazia italiana e la necessità di contrastarlo con nuovi mezzi investigativi.
Nonostante le resistenze dei vertici dell’Arma, dalla Chiesa non si arrende e, grazie alla sua ostinazione, nasce il Nucleo speciale antiterrorismo, un gruppo scelto di uomini, tutti giovanissimi, fortemente specializzato e capace di muoversi negli ambienti vicini ai brigatisti.
Per i “ragazzi del generale” la lotta al terrorismo diventa un impegno totalizzante, non ci sono vacanze, pause, vita privata.
La grande abilità strategica di dalla Chiesa, che non riguarderà solo la “lotta sul campo” ma anche l’intuizione dell’importanza dei pentiti, e il coraggio dei suoi ragazzi riusciranno a vincere la guerra contro le Brigate Rosse.
Su Rai1 stiamo vedendo “Il Nostro Generale“, una serie tv che racconta un periodo violento e cupo del nostro Paese. Prodotta da Rai Fiction e Stand by me, la fiction racconta la nascita a Torino negli Anni 70 del Nucleo Speciale Antiterrorismo voluto dal generale per combattere le Brigate Rosse.
A vestire i panni di dalla Chiesa è Sergio Castellitto mentre quelli di Patrizio Peci è Valerio Di Benedetto (Ph. Maria Vernetti, Gina Scafogliero), un attore che sul piccolo e grande schermo oltre che in teatro – si sta facendo notare sempre di più per le notevoli capacità artistiche.
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Valerio, partiamo dall’inizio. Cosa ti ha portato a dire sì a “Il Nostro Generale”?
Sicuramente il personaggio stesso; inoltre lavorare con Lucio Pellegrini è stato molto bello. Posso dirti che ho un debole per i personaggi storici; non ho vissuto gli anni di piombo ma, grazie a questo progetto per la tv, ho avuto modo di approfondire uno spaccato di storia che conoscevo poco.
Chi è, per te, e cosa rappresenta Carlo Alberto dalla Chiesa?
E’ un’icona e un eroe. E’ stato un uomo leale, trasparente e dedito al suo a tal punto di pensare al futuro di domani senza limitarsi a vivere il presente.
Normalmente associamo il nome del generale alla lotta alla mafia; questa volta invece portate sul piccolo schermo un altro aspetto dell’impegno del noto uomo di stato, quale?
Esattamente. Raccontiamo un aspetto che ci è stato trasmesso dal nucleo speciale di uomini che lo hanno affiancato per combattere le Brigate Rosse.
In questa serie tv, sei Patrizio Peci. Come ti sei preparato per impersonarlo?
Il percorso è stato bello ed impegnativo. Ho visto tutte le interviste che gli ha fatto Enzo Biagi e ho letto attentamente la sua biografia, oltre che imparare il dialetto marchigiano.
Ho avuto la possibilità di incontrare Giordano Bruno Guerri, il regista Luigi Maria Perotti e colui che ha partecipato ad alcuni movimenti rivoluzionari di fine anni settanta con Peci.
Come lo descriveresti?
Un uomo con l’aria da lupo solitario, scarpe da ginnastica, jeans e maglietta bianca. Era alla ricerca di avventura e voleva fare il pistolero.
Di fatto, era un fuggiasco, consapevole di essere nel torto con l’impossibilità di rilassarsi.
Per lui, cosa rappresentavano le Brigate Rosse?
Un punto di sovversione immediato, un punto di rivolta in risposta ad un benessere che si stava concretizzando.
E lo Stato?
Il nemico pubblico numero uno.
Perché pentirsi?
Credo fosse l’unica soluzione per provar ad avere di nuovo una vita “normale”, sebbene sotto protezione.
Ancora una volta vesti panni non semplici ma cosa ti fa accettare un ruolo rispetto ad un altro?
E’ la profondità della storia ad interessarmi, cosa può portare e perché essere raccontata.
Perché hai scelto proprio questo mestiere?
Essere attore mi permette di vivere vite diverse dalla mia, anche piuttosto lontane dalla mia.
Ancora sogni nel cassetto?
Tantissimi, il Medioevo e l’antica Roma soprattutto.
Nuovi progetti?
Mi vedrete in teatro in “Che disastro di commedia” e ne “La bicicletta”