Andrea Chiodi, regista de “Gl’innamorati”: «Il cuore dell’uomo è una grande bellezza»
Ogni essere umano ha bisogno di essere amato in modo incondizionato. Ma forse solo l’amore materno o divino è capace di questo.
In questa pièce non ci sono madri e nemmeno dei. C’è uno zio, Fabrizio, il cui carattere narcisista governa beni e umori di una casa in rovina e di due ragazze, Eugenia e Flamminia.
L’una innamorata di Fulgenzio e l’altra già vedova e innamorata dell’amore dei due innamorati.
Dal 28 dicembre al Teatro Goldoni di Venezia andrà in scena “Gl’innamorati” di Carlo Goldoni, regia di Andrea Chiodi (lo ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato), adattamento di Angela Demattè con Alessia Spinelli e con gli attori e le attrici:
Gianluca Bozzale, Gaspare Del Vecchio, Riccardo Gamba, Elisa Grilli, Cristiano Parolin, Francesca Sartore, Leonardo Tosini e con Ottavia Sanfilippo. Goldoni presenta il caos, il rombo della rivoluzione che sta per arrivare e che manderà in subbuglio il mondo intero.
La commedia è del 1759. L’inizio della rivoluzione industriale in Europa è alle porte. Quella dei litigiosi Eugenia e Fulgenzio è una storia d’amore molto più sfaccettata di quel che sembra, dietro la quale si nascondono tensioni capaci di superare anche le contraddizioni tipiche dell’amore romantico.
I protagonisti sono due giovani molto più vicini al nostro tempo di quel che pensiamo. Due giovani che pur appartenendo a quello che definiamo “ceto medio” non possono ancora ambire all’indipendenza economica e quindi decidere autonomamente di formare una famiglia.
Due giovani pressati dalle circostanze che, in preda alla gelosia, alla rabbia o alla paura cedono all’impulso di ferirsi, contraddicendo la sbandierata profondità dei loro sentimenti.
Due giovani che, tra pochi alti e molti bassi, impareranno dalle loro disavventure che l’amore non basta a se stesso ed anzi gestirlo è assai complesso.
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Andrea, perché portare in scena quest’opera di Goldoni?
Sono molto legato a Goldoni, mi ha da sempre portato molta fortuna. Quella che portiamo in scena è una commedia molto amata ed è un testo perfetto per la compagnia teatrale piuttosto giovane con la quale lavoro in questa pièce.
Carlo Goldoni è considerato il padre della commedia moderna ma in cosa consiste la sua contemporaneità?
Tutti gli autori straordinari rimarranno sempre vivi per la grandezza della loro scrittura sempre attuale.
Il cuore dell’uomo è una grande bellezza, costituito da gioie e da sofferenze; le guerre riaccadono e le pandemia tornano ma il cuore dell’essere umano continuerà a battere.
Come descriveresti Eugenia e Fulgenzio?
Sono due narcisi nell’accezione più negativa, sono due caratteri da studio psicoanalitico. Sono Incapaci di amarsi per quello che sono, sono estremi; la loro è una relazione violenta. Inizialmente non si guardano neanche in faccia ma attraverso uno specchio.
La rivoluzione industriale in Europa è vicina, in che modo questo clima di caos influisce nella commedia?
Moltissimo. La rivoluzione è ormai alle porte. Ho deciso infatti di portare in scena il personaggio della cameriera con un aspirapolvere ed un ferro da stiro, sintomo di novità dietro l’angolo per la società; non viene vista più come una serva.
In che modo questi due personaggi principali sono simili ai giovani d’oggi?
Vivono di una ricchezza ricevuta; sono molto viziati e non sanno affrontare le fatiche quotidiane.
L’amore per Goldoni cosa rappresenta? Oggigiorno è così?
Goldoni ha sempre amato le donne e l’amore. Nelle sue opere ha sempre raccontato di amori giocati su interessi altrui, di amori litigarelli, di quelli combattuti e sostenuti da interessi economici; gli intrighi amorosi li conosce bene.
Tu e il teatro: questo amore come e quando nasce?
Da quando ero bambino. Mi è sempre piaciuto raccontare storie e far immedesimare gli altri in queste.
Piano piano la mia passione ha preso fora diventando un vero e proprio lavoro. Ogni volta che mi cimento in un nuovo spettacolo il bambino che è in me si mette in moto.
Piera Degli Esposti e Gabriele Lavia sono due nomi a te molto cari, perché?
Piera è stata la mia guida da sempre. Quando penso a lei, mi commuovo sempre; ho molta nostalgia di un’amica, di un confronto e di un’attrice straordinaria.
Per me, lei è tutto ed è grazie a lei se svolgo questo mestiere. Gabriele è stato una grande maestro; ho sempre ammirato la sua grinta e la sua forza. Ho imparato molto da lui.
«Non si può vivere senza, l’umanità non può vivere senza il Teatro. Forse un giorno si potrà vivere senza il cinema, ma senza il Teatro è impossibile. Almeno finché esiste l’uomo, finché esiste lo specchio, il riflesso di noi stessi che respira, vivo come noi. L’uomo ha bisogno dell’uomo, di essere riconosciuto, di vedersi di fronte e farsi delle domande, per cui non penso che il Teatro morirà mai», sosteneva Emma Dante. E’ così?
Assolutamente sì. E’ la più grande di tutti a livello europeo. Il teatro è un rito di incontro, accade. Sarà sempre contemporaneo in quanto è grazie a lui che continuiamo a porci delle domande e ad essere invasi dai moti del cuore.
I tuoi prossimi progetti?
Porterò in scena uno spettacolo su Margherita Farfatti e “Le allegre comari di Windsor”