Marco Bonadei ed il suo essere attore: «Ormai è una missione»
“DIABOLIK 2: GINKO ALL’ATTACCO” dei Manetti Bros è al cinema dal 17 novembre: questo secondo film della saga sostituisce il protagonista, lascia immutata ambientazione, stile, atmosfere e si rifà con scrupolo filologico all’albo numero 16 del celebre fumetto.
Entra in scena l’eterna fidanzata di Ginko (la nobildonna Altea), il Re del Terrore sembra tradire Eva che, per vendicarsi, promette aiuto alla polizia, la lotta tra giustizia e crimine rimarrà alla fine irrisolta, ma solo dopo che Diabolik ed Eva si saranno ritrovati.
Il vero protagonista di questo film è però il Ginko di Mastandrea, pensoso ed acuto come un novello commissario Maigret.
In un cast stellare troviamo Marco Bonadei (Ph. Paolo Palmieri) nei panni dell’agente Urban, attore diviso tra il teatro e il cinema.
Ha appena concluso uno spettacolo teatrale molto acclamato, “Alla greca” di Steven Berkoff, e a breve (dal 9 dicembre) tornerà in scena a Milano al teatro dell’Elfo con “Nel guscio”, tratto dal romanzo di Ian McEwan.
Ne abbiamo parlato con lui.
***
Marco, cosa ti ha portato ad accettare il sequel di “Diabolik”?
Ho sempre sognato di lavorare con i Manetti Bros e finalmente è accaduto. Sono due fratelli bravissimi nel loro mestiere. Grazie a loro, ho anche avuto modo di lavorare sul set con colleghi davvero bravi che mi hanno insegnato tanto.
Tu sei Urban, come lo descriveresti?
E’ un brutto ceffo con una parentesi importante; è un vero traffichino.
Com’è stato essere diretto dai Manetti Bros?
Mi hanno fatto sentire parte integrante di questo progetto cinematografico, nonostante avessi una piccola parte; mi sono sentito calorosamente accompagnato in quest’avventura. Il loro è un amabile cinema artigianale .
Sei anche reduce da uno spettacolo – “Alla greca” – in cui Steven Berkoff reinventa il mito di Edipo facendone una splendida parodia. Un cult anni ‘80 che alterna blank verse, squarci lirici e turpiloquio rabelesiano. Qual è la forza del mito di Edipo, secondo te?
Parliamo di un’opera di oltre 2.300 anni fa che ha scaturito una pluralità di letture ed è stata fonte di speculazione sotto tanti aspetti. E’ molto interessante la lettura che ne dà Berkoff perché cambia il finale, abbattendo così il senso di colpa e di tragedia; Edipo preferisce tornare nell’utero materno, evitando così la guerra ed il massacro.
Sul palco sei stato Eddy, ma cosa ti ha lasciato quel personaggio?
Un grande senso di liberazione. Ha aperto diverse finestre sul cuore, permettendo all’energia di fluire liberamente.
Sarai in scena con “Nel guscio” al teatro dell’Elfo di Milano. Perché dire sì a questo progetto teatrale?
E’ un progetto particolare. Sia io che la regista avevamo letto il romanzo e ad entrambi ha intrigato molto. Sono poi passati due anni dall’idea alla sua realizzazione. Inoltre l’ironia tutta british di McEwan è unica.
Sarai un feto che, rannicchiato nell’utero, ascolta le voci e ciò che accade all’esterno: si tratta di un ruolo piuttosto insolito. Come vede e come giudica il mondo esterno il tuo personaggio?
Ha una cultura sterminata; si pone continue domande e si scopre sempre più curioso, è molto più grande di quello che sembra.
Cosa rappresenta per te il teatro?
E’ un rito laico dove gli esseri umani si incontrano. Parte del lavoro fatto a teatro avviene con lo spettatore. E’ il luogo delle domande.
E l’essere attore?
Tutto per caso. Ho preso parte ad alcuni spettacoli al liceo e non ho più smesso. Ormai è una missione.
Nuovi progetti?
Uscirà al cinema “Il ritorno di Casanova” di Gabriele Salvatores.