FAUSTO RUSSO ALESI
attore impegnato con “Esterno Notte” e non solo: «Credo ancora nel valore sorprendente dell’incontro»
1978. Aldo Moro, nel farsi campione del compromesso storico, firma la sua condanna agli occhi delle Brigate Rosse che vogliono il rovesciamento del governo e a quelli della Democrazia Cristiana più conservatrice che rifiuta qualunque coalizione con il Partito Comunista Italiano.
Moro viene rapito dalle BR e trattenuto in prigionia per 55 giorni di buio, durante i quali all’esterno succederà di tutto: incontri al vertice, crisi di coscienza, tavoli politici e tormenti privati, accordi e disaccordi, e poi lettere, segnalazioni, comunicati, false piste e piste volutamente falsate, proteste di piazza, maxiprocessi, udienze.
Tutto sotto gli occhi di tutti, eppure tutto segreto e misterioso.
È quella notte esterna in cui l’Italia ha vissuto e continua a vivere, poiché il caso Moro, come molti altri misteri nazionali, resta impresso nella memoria di tutti, ennesimo vulnus di Stato destinato a non essere sanato.
“Aldo Moro è l’Italia“, si dice in “Esterno Notte“, la serie tv in sei puntate con cui Marco Bellocchio rimette mano al racconto del caso Moro, vent’anni dopo il suo “Buongiorno, notte“, in uscita dal 18 maggio.
Ad affiancare un immenso Fabrizio Gifuni, troviamo un bravissimo Fausto Russo Alesi nel ruolo di Francesco Cossiga, un volto noto al pubblico per ruoli nei quali si è distinto per le notevoli capacità interpretative e grazie a cui ha ottenuto numerosi riconoscimenti.
Con lui abbiamo parlato della sua ultima fatica ma non solo.
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Fausto, partiamo da “Esterno Notte”. Per quali motivi hai detto di sì?
Sono infinitamente grato a Marco Bellocchio per avermi affidato un ruolo così complesso.
La domanda mi fa sorridere, mai stato così facile dire di si. Sono onorato di far parte di questo grande progetto e al fianco di attori straordinari. Raccontiamo una storia importante e dolorosissima.
E’ una tragedia collettiva e un’immersione profonda nell’essere umano.
Nel film, sei Francesco Cossiga. Come ti sei preparato per impersonarlo?
C’è stato un percorso di approfondimento sulla sua figura attraverso i fatti storici, le diverse voci, le testimonianze e c’è stata la necessità di restituirlo attraverso un’interpretazione.
Mi sono concentrato sul perimetro della potentissima sceneggiatura, quindi i terribili cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro.
Marco Bellocchio mi ha guidato nei suoi dettagli, abbiamo camminato sul filo della complessità tra il reale e l’immaginazione.
Francesco Cossiga era come ingabbiato in sbarre istituzionali, personali, di circostanza e di rapporti….molte le forze in campo.
Ho cercato di portare in scena un uomo con una profonda crisi di coscienza: difficile entrare in quei misteri, in quei sentimenti, senza dimenticare le responsabilità.
Lui ed Aldo Moro: cosa li univa e cosa invece li dissociava?
Li univa l’amicizia: Francesco Cossiga doveva tutto ad Aldo Moro, il suo mentore. E li univa la stessa fede politica.
Quello che penso li dissociava, soprattutto durante lo scorrere dei cinquantacinque giorni, lo possiamo scoprire attraverso il memoriale di Aldo Moro.
Moro chiedeva di trattare per la sua vita, non voleva e non doveva morire. La politica della fermezza è passata così sulle spalle di Cossiga che ha provato invano ad opporsi.
Si trova a dividersi tra la realtà dei fatti e il dover agire concretamente e lo sprofondamento nella incapacità di trovare una via di uscita. Il politico e l’uomo.
Non è la prima volta che vieni diretto da Marco Bellocchio: com’è stato ritrovarlo?
Meraviglioso. E’ bello stargli accanto e poter collaborare con lui. Mi sento fortunato. E’ un artista immenso, un Maestro visionario che dialoga col presente con lucidità e coraggio.
Nel suo film – “Il traditore” – tu vesti i panni di Giovanni Falcone. Qual è stata la forza di questo giudice?
Ha lottato per tutti noi. La sua umanità, la sua integrità e il suo coraggio, non scontato e non da tutti. Sapeva rapportarsi con gli esseri umani.
E non aveva paura. Ha lottato credendo nella funzione dello Stato. Ha lottato per tutti noi!
Recentemente ti abbiamo visto in “Solo per passione. Letizia Battaglia fotografa”, il bellissimo film di Roberto Andò. Cosa ha reso la Battaglia unica al mondo?
Il suo essere una donna libera, il suo saper essere se stessa, il suo non aver paura del giudizio degli altri.
E’ stata una pioniera senza scendere a compromessi. E una grande artista…il suo sguardo autentico rimane con noi. Che meraviglia il finale del film di Roberto Andò, con la sua voce e le parole della poesia “Quello che veramente ami rimane”di Ezra Pound. Sincera emozione.
In questa miniserie, sei Vittorio Nisticò, il direttore de L’Ora di Palermo, simbolo di resistenza della lotta alla mafia. Quale ritieni sia il fine del giornalismo?
Fornire strumenti di lettura. E ha il potere di abbattere i potenti ed il potere se necessario: di cambiare le cose nel segno della verità e della ricerca. Concretezza, verità e onestà sono alla base della notizia per un lettore.
Hai da poco concluso la tournée teatrale “Padri e Figli”, dal romanzo di Ivan Turgenev. In cosa consiste la sua attualità?
I grandi classici sono universali e ci interrogano sempre. E la potenza dei sentimenti, dell’amore, attraversa i secoli e abbatte qualsiasi muro o conflitto.
Ma gli esseri umani purtroppo tendono a ripetere gli stessi errori. Se continuano a risuonare le domande che un grande romanzo ottocentesco ci pone, significa che non abbiamo ancora imparato, soprattutto a stare insieme.
Cosa significa essere attore?
Fare tutto ciò che amo, sentirmi a mio agio, rapportarmi all’altro ed entrare nei suoi panni. L’arte è uno strumento di conoscenza di noi stessi e degli altri ed avere il privilegio di condividerla mi rende felice.
Sei stato diretto dai più grandi registi ed hai partecipato a grandi progetti, ma hai ancora sogni nel cassetto?
Moltissimi. Anche se mi piace concentrarmi su quelli che più mi stanno a cuore e che mi fanno sentire vivo. Ho sempre la curiosità di scoprire, cioè di non rimanere comodamente seduto su quello che già conosco. Credo ancora nel valore sorprendente dell’incontro.