
“Don Matteo 13” è andata in onda su Rai1 a partire dal 31 marzo. La nuova stagione, purtroppo l’ultima in cui vedremo l’amato Terence Hill nei panni Don Matteo, è tornato con ben dieci nuove puntate.
L’attore sarà protagonista fino al quarto episodio, quando lascerà la serie tv per passare il testimone a Raoul Bova, nei panni di Don Massimo. Nel cast ritroviamo “vecchie conoscenze” come Flavio Insinna e Nino Frassica, e riconferme come Maria Chiara Giannetta, Maurizio Lastrico e Nathalie Guetta.
Questa serie tv resta uno dei pilastri della rete ammiraglia, ambientata a Spoleto e diretta da Francesco Vicario, Luca Brignone e Riccardo Donna.
Ne abbiamo parlato con l’oramai storico sceneggiatore MARIO RUGGERI.
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Mario, quest’anno siamo giunti alla ben tredicesima edizione. Perché continuare?
Perché don Matteo, come serie tv, ha ancora tanto da dire. E’ diventato oramai un archetipo narrativo che può diventare lente per qualsiasi argomento della realtà. E poi sino a che il pubblico risponde con un 30% di share alla prima serata della 13° stagione la domanda dovrebbe essere: perché non continuare?
Cosa spinge, secondo te, il pubblico a continuare a seguire questa serie tv?
Secondo me c’è una affinità tra il pubblico generalista e don Matteo. La fiction parla di un paese scarsamente rappresentato. Un paese ancora legato a due istituzioni come la Chiesa e L’Arma dei CC. Un paese che esiste e si rivede in don Matteo.
Un paese eterogeneo, fatto di giovani, ma anche di laureati (ndr: dm ha una delle percentuali di pubblico giovane e di laureati). Un paese reale che, dopo una dura giornata di lavoro, dopo essersi alzato presto per portare i figli a scuola, o per andare a lavorare, poi la sera vuole rilassarsi davanti alla tv.
Terence Hill cosa rappresenta per i telespettatori?
Rappresenta, sia per la tv che per il cinema italiano, l’ultimo vero mito. Ricordo ancora la prima volta che lo vidi 20 anni fa. L’ho guardato e mi sono detto: ma allora esiste veramente. Ecco, questo è l’effetto che fa Terence alla gente.
Ha una dimensione veramente mitologica, quasi magica. Un personaggio inarrivabile, un personaggio della tua infanzia, che pensi esista solo “nei film” e invece esiste veramente. E questo è stato possibile perché Terence, a differenza di molti, ha tutelato la sua immagine. Non si è mai sovraesposto.
Non ha mai raccontato della sua vita privata. Ha sempre creato intorno a lui un vero mistero. Rinunciando anche a volte a dei grandi compensi pur di non comparire, rinunciando a delle comparsate in programmi che gli offrivano anche 100mila euro a presenza, oppure a contratti pubblicitari.
Se ci pensate Terence non è mai stato legato a nessun marchio. Lui è il brand di se stesso. In una società in cui tutti vogliono comparire, essere presenti, a qualsiasi costo, lui sta in disparte, compare poco e crea mistero. Lui è l’ultimo mito vero.
Quest’anno però ci sono tante novità, a cominciare dall’uscita di scena di Don Matteo. Quali sono stati i motivi per averlo più nelle case degli Italiani?
E’ stata una scelta condivisa tra tutti, a partire da Terence e dalla Luxvide/Rai. Due anni di lockdown sono stati duri per tutti. Sono stati anni in cui tutti noi abbiamo avuto la possibilità di riflettere su cosa è importante nella nostra vita.
Sono stati una sorta di “ritiro spirituale forzato”. In questo periodo secondo me Terence ha pensato che ci fossero altre priorità oltre che stare sul set per 10 mesi all’anno. C’era la sua famiglia. Suo figlio. I suoi nipoti. Così si è scelta questa strada di farlo uscire.
Don Matteo non morirà. Per il futuro chissà. Le vie della fiction sono come quelle del Signore: infinite.
Al suo posto Don Massimo, ci racconti di chi si tratta?
Don Massimo è un prete molto diverso da Don Matteo. Don Matteo è la sicurezza in persona, la serenità, un faro per tutti.
L’esempio che faccio sempre è questo: a DM potrebbe esplodere una bomba vicino e a lui non succederebbe niente. Sorriderebbe e direbbe: coraggio, andiamo avanti. Don Massimo è invece un prete che deve imparare a fare il prete.
Malgrado abbia 50 anni è al suo primo incarico come parroco. E’ un prete più in cammino e più in crisi. In tal senso più umano e più vicino alle persone, perché, come loro, sa di essere fallibile.
Perché scegliere proprio Raoul Bova nella “sostituzione” del sacerdote più amato della tv?
Per me Raoul è perfetto. Una scelta assolutamente azzeccata da parte del produttore Luca Bernabei. E’ un uomo moderno, che ti dice che tutti possono diventare prete, anche un uomo bello come lui.
Ma al contempo ha una sua profondità spirituale e una dolcezza che ne fanno il tratto distintivo. Raoul ha uno sguardo spiritualmente moderno: in crisi, in lotta, con se stesso, con il presente, ma al contempo che guarda al futuro con fiducia.
Quali sono le altre novità?
La prima novità è la conferma di due protagonisti che si stanno sempre più imponendo anche fuori dalla nostra fiction, come Maria Chiara Giannetta e Maurizio Lastrico. E poi come sempre abbiamo una serie di nuovi personaggi che speriamo possano essere nuovi protagonisti come Emma Valenti, la figlia del Capitano Anceschi (alias Flavio Insinna). La famiglia cresce sempre.
Cosa speri arrivi al pubblico di questa 13esima edizione?
Il senso dell’amicizia, cosa voglia dire essere amici. La frase chiave di questa serie è: non c’è cosa più bella che dare la vita per un proprio amico. E’ questa la frase che lega tutti i personaggi: Don Matteo, Don MAssimo, Cecchini, Natalina, e tutti gli altri.
I tuoi prossimi progetti?
Sto lavorando sulla nuova serie di “Blanca” e di “Un Passo dal Cielo” per la Rai. Poi ho un paio di progetti per Netflix. Speriamo bene.