DONATELLA DIAMANTI
DONATELLA DIAMANTI

DONATELLA DIAMANTI

Sceneggiatrice di “Nero a metà 3” e “Vostro onore”

DONATELLA DIAMANTI

Con la sua risolutezza Carlo Guerrieri ha appena arrestato l’ennesimo colpevole della sua carriera quando vede avvicinarsi Clara all’ingresso del commissariato; proprio lei, l’ex moglie da tempo latitante, la madre che Alba non ha mai avuto accanto.

E non si tratta di un incubo in pieno giorno ma di un evento imprevisto che riapre una ferita mai del tutto guarita.

Si è chiusa così la seconda stagione di “Nero a metà 2“, con il ritorno dei fantasmi di un passato legato a una donna che dopo aver commesso reati, detto bugie ed essersi nascosta in Svizzera, di punto in bianco torna a Roma per costituirsi, scontare la sua pena e chiedere perdono alla figlia che ha abbandonato da piccola.

Da lunedì 4 aprile Rai 1 ha riproposto in prima visione l’attesissima terza stagione di “Nero a metà, serie tv di sei puntate con Claudio Amendola e Miguel Gobbo Diaz, coprodotta da Rai Fiction- Cattleya. Ne abbiamo parlato con la sceneggiatrice DONATELLA DIAMANTI, firma di spicco, oltre che profondamente al dettaglio.

 

***

 

Donatella, è iniziata la terza stagione di “Nero a metà”, perchè continuare questo racconto?

Abbiamo pensato che i personaggi avessero ancora tutti molto da dare. Le loro vite, più o meno complicate, potevano fornirci varie occasioni di racconto. Su tutte Clara, la grande assente, ricomparsa per pochi istanti alla fine della seconda serie. E con lei, inevitabilmente, Carlo e Alba.

DONATELLA DIAMANTI

Quali sono le novità di questa terza stagione?

La prima è una linea dedicata a Clara e allo svelamento dei misteri che porta con sé. Accanto a ciò assistiamo all’ingresso di tre nuovi personaggi: Bragadin, che entra a modo suo nella squadra di Carlo e subito si mostra per quel che è, una specie di strambo genio.

Elisa Cori, responsabile della scientifica e legata a Bragadin da una storia complicata. E Santillo, un giovane agente che darà il tormento a Carlo. Un tormento virato in chiave di commedia

I protagonisti indiscussi sono  Claudio Amendola e Miguel Gobbo Diaz, perchè scegliere proprio loro?

La serie nasce da un’idea di Gianpaolo Simi, Vittorino Testa e Fracesco Amato. Sono loro che hanno accostato questi due poliziotti, tanto diversi non solo per il colore della pelle.

Come descriveresti i loro personaggi?

Due linee che si intersecano loro malgrado. La loro storia nasce da un grande conflitto, quello raccontato nella prima serie. Lì Malik, che nel frattempo ha intrecciato una relazione con Alba, non brilla per correttezza e ci mette una stagione intera (la seconda) per farsi perdonare. In questa terza Carlo e Malik non sono proprio amici, ma a volte ci vanno molto vicino.

Sei anche reduce da un altro grande successo targati Rai1, ovvero “Vostro Onore”, qual è stato il segreto del suo successo?

Ho amato molto adattare per l’Italia la serie israeliana Kvodo. E ho trovato in questo dei compagni e delle compagne di avventura che vi hanno lavorato con altrettanta passione.

Dalla produzione, a RAI, agli altri autori (Mario Cristiani, Gianluca Gloria, Laura Grimaldi, Paolo Piccirillo), al regista Alessandro Casale. Abbiamo da subito condiviso la strada da prendere, volevano tutti la stessa cosa.

In ogni tua fatica, sei sempre attenta al dettaglio, ma cosa fa di un racconto una fiction di successo?

La tenuta del racconto stesso. Personaggi forti, trama che aggancia… entrambe le cose sono facili da dire, poi però vanno messe in pratica.

Cosa significa per te raccontare storie?

Rispondere a possibili curiosità e crearne di nuove. Costruire personaggi e non funzioni narrative. Fare i conti col dolore, sempre e comunque.

Hai sempre voluto essere sceneggiatrice?

No. Volevo fare ricerca all’Università, dove mi occupavo di poesia storico politica. Nel frattempo scrivevo anche per il teatro e da lì sono arrivata alla televisione. Per caso. Come un po’ in tutte le cose della mia vita.

Cosa ti auguri arrivi al pubblico della tue storie?

Proprio le storie, ti direi. Quando si lavora ad una serie tv, nulla è “mio”. Io non amo molto riempirmi la bocca con le citazioni, ma ne ho due con cui sono fissata, la prima è una frase di Brancusi (vado a memoria): “la semplicità è una complessità risolta”.

Una cosa ben diversa dalla semplificazione. La seconda è di Montale, che definiva Shakespeare una “cooperativa”. Magari essere Shakespeare. Ma un film, una serie, uno spettacolo teatrale non si fanno in solitudine. E in team si risolvono meglio le complessità.

I tuoi prossimi progetti?

Su questo ci risentiamo, se vuoi. Ora sono nella fase della scaramanzia.