FRANCESCO COLELLA al cinema con Mancino
FRANCESCO COLELLA al cinema con Mancino

FRANCESCO COLELLA

Al cinema con “MANCINO NATURALE”, un intenso interprete e un’anima bella, come pochi

FRANCESCO COLELLA al cinema con Mancino

Una madre cerca di promuovere la luce dei suoi occhi – suo figlio dodicenne – , pronta quasi ad umiliarsi pur di giungere a quello che pensa possa essere il meglio per chi ama.

Questo e non solo, racconta “MANCINO NATURALE“, il film di Salvatore Allocca dal 31 marzo al cinema.

Nel film ad affiancare Claudia Gerini ed il giovane Alessio Perinelli, troviamo FRANCESCO COLELLA, un volto ben noto al grande pubblico non solo cinematografico e televisivo, ma anche teatrale; ha infatti esordito sul palcoscenico e continua a portare avanti questa sua anima artistica.

Lo abbiamo visto recentemente nel ruolo di Paolo Danti, dirigente del commissariato in “Vostro Onore” di Alessandro Casale su Rai1 e nel ruolo di Tomei, il veterinario del quartiere che arrotonda curando i più bisognosi in “Christian” di Stefano Lodovichi su Sky.

Il suo nome è legato ai grandi successi del piccolo e del grande schermo, riconosciuto per bravura e talento all’unanimità. Quello che colpisce di lui è il suo essere ben lontano dagli atteggiamenti distaccati dei grandi; umiltà, gentilezza e professionalità l’hanno sempre contraddistinto in questo complesso ed affascinante mondo dell’arte.

Con lui abbiamo parlato della sua ultima fatica, passando – a grandi linee – da quello che è stato il suo percorso artistico, in una “chiacchierata” in cui le sue parole sono meravigliosamente forti e vere.

 

***

 

FRANCESCO COLELLA al cinema con Mancino

Francesco, partiamo da “Mancino Naturale”, cosa ti ha spinto a dire di sì?

Quello che mi spinge solitamente, ovvero la lettura di una buona sceneggiatura, soprattutto per il mio personaggio. Ascolto sempre le sensazioni dal profondo che mi scaturiscono dalle letture di alcuni personaggi.

Se è vero che questo mestiere mi permette di viverci, non posso tuttavia rinunciare al principio di piacere. Se interpreto un ruolo che declini verso il bene o verso il male, quel personaggio deve impegnarmi molto anche come persona; recitare è infatti un percorso di conoscenza dal punto di vista esistenziale.

Tu nel film sei uno sceneggiatore. Come descriveresti il tuo personaggio?

Pur essendo una persona che nel lavoro non è riuscita a realizzarsi, ricevendo delusioni, trovandosi in una situazione di solitudine anche sentimentale, essendo squattrinato e vestendosi come un uomo degli anni novanta, ha una luce particolare negli occhi, ovvero quella di non aver mai maturato delle frustrazioni.

Probabilmente gli è capitato di disinteressarsi un po’ a sé e alla propria storia espandendo però il suo desiderio di ascoltare gli altri. Ha una sua gentilezza e un’ingenuità che lasciano all’altro la possibilità di esprimersi. Fabrizio per alcuni versi lo considero migliore di me, una persona con la quale anch’io passerei del tempo.

Nel film raccontate una madre piena di vita, pronta a tutto per suo figlio, una tematica che il cinema torna nuovamente ad affrontare. In che modo il tuo personaggio e quello di Claudia Gerini interagiscono?

Posso dirti che innanzitutto Fabrizio riesce a riconoscere quelli che sono gli aspetti più luminosi in una persona; in questo caso viene travolto dalla vitalità di questa donna che è la stessa di Claudia.

L’energia di Isabella, per una persona – come Fabrizio – abituata al silenzio attorno a sé, provocherà un vero e proprio squilibrio che lo porterà ad accendere una conoscenza affettiva.

Recentemente ti abbiamo anche visto in “Vostro onore” nel ruolo del dirigente del commissariato Paolo Danti, un uomo che si trova dinnanzi ad un incarico piuttosto difficile. Come sei riuscito a portare così bene in tv ad un uomo, un padre e ad un rappresentante delle forze dell’ordine?

Posso partire da alcune coordinate e da alcuni principi che concordo con me stesso, con il personaggio e con il regista, ma gli effetti del mio lavoro non li posso controllare; se è uscita la conciliazione di questi tre aspetti sono contento.

Paolo Danti è un padre ma è soprattutto un uomo di legge, un investigatore, un agente di polizia; è un uomo che non ha paura di quelli che possono essere i misteri umani legati al crimine e all’attualità.

E’ un uomo che usa una specie di inclinazione filosofica per capire quello che succede, si finge in un certo senso ingenuo per lasciare la possibilità all’altro di esprimersi e di lasciarsi scoprire.

FRANCESCO COLELLA al cinema con Mancino

Sei stato anche protagonista in “Christian” nelle vesti di un cinico e silenzioso medico che ritrova la scintilla per la sua professione, un personaggio dunque in evoluzione, cosa ti ha lasciato?

Tomei mi ha lasciato un felice ricordo ma anche un ritorno da parte del pubblico che mi ha dato soddisfazione. E’ un uomo che ha congelato totalmente le emozioni probabilmente per un dolore legato al passato; ha deciso di fare giustizia su se stesso. Per punirsi, vive una vita al minimo delle sue possibilità e agisce solo per soldi. Non essendo capace di suicidarsi, ha fatto questa scelta di vita. Non ha paura di nessuno.

Il film di Silvio Soldini “3/19” ha segnato il ritorno al cinema nel post pandemia. Lo potremmo definire un film sulla potenza della vita, un’educazione al vero sentimento, secondo te?

Tra le tante definizioni, questa è quella che mi piace di più. Emerge la possibilità di apprendere che i sentimenti sono qualcosa in più delle emozioni; si apprendono culturalmente, non cioè soltanto con i titoli di studio o letture fatte, bensì stando al mondo, osservando l’altro, la sua storia e sentendone le affinità.

In questo film si parla della possibilità del sentimento tra un uomo e una donna e dell’elaborazione di una perdita. Si tratta di tematiche molto importanti in tempi come i nostri nei quali assistiamo a un ciclo di morti che non sono naturali, perché causate dalla pandemia e dalla tragedia della guerra; questo ci sta portando ad una pericolosissima assuefazione. Quella che abbiamo raccontato al cinema è una piccola storia con una potenzialità universale.

Riesci ad unire, con il tuo talento, pubblico e critica. Qual è il significato della parola Emozione per te?

Non faccio un uso esagerato di questa parola. Essendo un essere umano, molto spesso sono travolto dalle emozioni ma non faccio di queste la cartina tornasole della mia sensibilità. E’ una parola importantissima ma può creare grandi ipocrisie, visto il suo uso smodato. Siamo tutti persone sensibili ma, essendo così esposti, non è detto che sia la prova della nostra reale profondità.

Catanzaro e Roma, due città che in qualche modo ti raccontano. In che modo?

Ero un diciottenne che veniva da una città del Sud, coltivavo il sogno d’attore e mi sono ritrovato a Roma. Grazie all’Accademia Silvio D’Amico, sono riuscito a dare il giusto corso a quelle energie disordinate che avevo; il mio è sempre stato un abbandono sensuale nei confronti di un mestiere che è sempre stato il mio sogno.

Non è sempre stato facile inseguirlo, mi ha messo anche in crisi per la precarietà e anche il senso di fallimento che questo lavoro può portare. Posso dirti che però mi sento un privilegiato perché ho seguito quella che di fatto è stata la mia vocazione, riuscendo a vivere di questa.

FRANCESCO COLELLA al cinema con Mancino

Se ti dico: Luca Ronconi, cosa ti viene subito in mente?

E’ un’onda emotiva che fuoriesce. Mi sono messo al servizio di un grande maestro del teatro ed è stata un’esperienza stupenda. In qualche modo la mia vita è anche legata a lui perché i miei figli sono nati durante le prove dei suoi spettacoli.

Ricordo che Ronconi arrivava con copioni spessissimi per lavori teatrali che portavano in scena anche trenta personaggi e, al centro di una grande tavolata, leggeva da solo il testo. Era un miracolo: alla prima lettura arrivava ad altezze di recitazione e di magia che sembravano quasi soprannaturali. Il suo più grande insegnamento? La recitazione deve essere un veicolo di conoscenza.

Eduardo De Filippo sosteneva che il teatro non fosse altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita, ma è davvero così?

Sì. E’ anche un modo di dare un senso alla propria vita e a quella degli altri. Un attore d’altro canto si denuda dinnanzi agli spettatori portando in scena sé stesso e la propria anima ma contemporaneamente si fa veicolo di qualcosa di più alto.

Il bravo attore non è colui che va applaudito per la sua bravura, bensì è colui che, una volta sentito o visto, porta ad una riflessione, che risulta essere un piccolo faro nella zona d’ombra della vita dello spettatore. Tutto nasce dall’esigenza dell’uomo di rendere sopportabile il dolore.

La rappresentazione comica o tragica non deve imbruttirci ma illuminarci. Questo mestiere è una sorta di lente d’ingrandimento per leggere il mondo. Personalmente lo amo molto, sia l’atto del recitare ma tutto ciò che lo circonda, la vita da set per esempio; mi piace che ci siano persone che lavorino attorno ad un sogno e che lo cerchino di proteggere fino al suo concretizzarsi.

I tuoi prossimi progetti?

Sto girando una fiction, poi ci sarà la seconda stagione di “Christian”e infine ho letto una sceneggiatura molto bella per il cinema.