Agnese da grande vuole fare l’avvocato. È decisa, sicura di sé, anche se ha appena dieci anni. Anna, sua sorella le invidia questa forza. La madre, donna altera, taglia le rose con la stessa sbadataggine con cui cura la propria depressione. Il padre, presente a intermittenza, coltiva un’ingombrante malinconia insieme alla passione malata per le rane. Sullo sfondo di una provincia assonnata, si svolge un romanzo a stazioni, uno psicodramma dal sapore giocosamente pirandelliano nel quale sei personaggi rincorrono la propria identità passando attraverso i falsi miti degli anni Settanta. Nelle migliori librerie troviamo la nuova edizione de “La grande invasione delle rane”, il libro scritto da Eliana Miglio (Ph. Marco Rossi) che può essere inserito facilmente in temi di attualità, sia relativa ai giovani di oggi, sia parlando di “generazione fluida” che Eliana ha raccontato con il suo romanzo fortemente autobiografico, gradevolmente e surreale il paragone con l’esistenza delle rane. Eliana spesso viene coinvolta televisivamente sia per i suoi ruoli di attrice sia per la sua elegante capacità di sostenere conversazioni su temi di attualità di spettacolo senza difficoltà; il suo romanzo sta interessando per il tema diverse case di produzione. Ne abbiamo parlato con lei.

Eliana, partiamo dall’inizio: perché hai deciso di scrivere questo libro?

Avevo deciso di raccontare giovani non così angelici come dovrebbero. Volevo accendere i riflettori su adolescenti non così scontati, bensì alla ricerca della propria identità, nonostante il mondo intorno a loro possa condizionare. Accade molto spesso che non si riesca a comunicare, nonostante i social network siano i principali portatori di comunicazione. Questa storia racconta di giovani isolati, quest’ultima parola nel 2006 mi era stata sconsigliata da utilizzare.

Ci racconti un po’ chi sono Agnese, Anna Clara e Luca?

Un personaggio come Clara s’incontra spesso, è superficiale e un po’ crudele, non è buona ma neanche cattiva; è una femme fatal, è la maschera più in uso ai giorni nostri. Agnese è colei che osserva, vive ma con prudenza, è fortunatamente inconsapevole ed è animata da sentimenti vibranti. Anna è la protagonista indiscussa, le capita di ogni e ogni volta deve cercare di risolvere. Luca invece è il più poetico.

E’ una storia profondamente attuale anche se ci riporta negli anni ’70. In cosa consiste la sua contemporaneità?

Quegli anni li possiamo vivere dentro, possiamo immaginarli senza conoscerli personalmente.

Ci spieghi il titolo?

E’ un fenomeno reale: vicino al lago, le rane si accoppiano sulla strada dall’asfalto caldo, molto spesso morendo a causa del transito dei veicoli. E’ anche intervenuto il WWF. Questi piccoli animaletti per amore rischiano la vita, metafora perfetta come titolo del mio romanzo.

Questo tuo romanzo dal sapore pirandelliano tratta di una tematica molto delicata, ovvero quella di ritrovare la propria identità. Cosa significare conoscere sé stessi per i tuoi protagonisti?

Proteggersi. Loro esplorano, sbagliano, gioiscono, in altre parole vivono. Si stanno allenando incontrando l’altro.

E tu? Cosa vedi oggi quando ti guardi allo specchio?

Sono senza cornice, ho deciso di toglierla. Ho notato che qualche anno fa c’era un’eccessiva dose di narcisismo e ho preferito evitare. E’ una fase meno definita ma sono molto più serena. Sono stata molto cervellotica, ora sono più socievole.

Sei un’interessante mix, tu e l’arte? Com’è scoccata la scintilla?

C’è sempre stata, sin da piccola. Mia madre mi ha sempre incoraggiato a leggere, ad andare alle mostre, ad avere sempre un legame con l’arte; ho avuto a riguardo un’educazione piuttosto nordica. A scuola non ero bravissima e per fortuna mi sono trovata nell’arte.

Hai un passato da modella, qual è stato e qual è il tuo rapporto con la moda?

La moda è sempre stata una maschera per interagire con gli altri. Ho poca sensibilità per la moda di oggi, troppo usa e getta e troppo consumismo; adoro invece quella vintage.

E con la recitazione? Era un sogno diventato poi realtà?

Sono stata molto fortunata al mio primo provino; ho poi deciso di studiare veramente recitazione. E’ stata una chiamata dall’esterno.

Cosa significa essere attrice?

Poter vivere altre vite, rimanendo me stessa. Mi ha dato l’opportunità di conoscere professionisti nel settore rimanendo a mio agio.

“Recitare non è molto diverso da una malattia mentale: un attore non fa altro che ripartire la propria persona con altre. È una specie di schizofrenia“, diceva Vittorio Gassman. E’ così?

E’ una frase molto forte ma veritiera. La concentrazione e la creatività vanno di pari passo. E’ una bellissima sensazione starci dentro ed essere fagocitati dal personaggio che si va interpretare. E’ una sorta di viaggio lontano da se stessi.

Sei di una bellezza molto delicata ed elegante, frutto anche delle tue origini. La bellezza ti ha aiutata nel tuo mestiere oppure no?

Credo che la mia forza sia uno sguardo malinconico costante, che fa parte di me e che risulta importante per lo schermo. Non mi reputo bella ma fortemente espressiva.

I tuoi prossimi progetti?

Uscirà al cinema “La peste” di Francesco Patierno e “Vita di Dante” di Pupi Avati.

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Quando la musica, il cinema, il teatro e la televisione si uniscono al giornalismo dando vita a una passione costante per l'arte, lo spettacolo è inevitabile. Dopo aver collaborato con il quotidiano Infooggi (redazione siciliana) occupandosi di criminalità organizzata, ha aperto anche la rubrica settimanale “Così è (se gli pare)” di cui era anche responsabile con Alessandro Bertolucci. Ha collaborato con i quotidiani La Nostra Voce, Resto al Sud e con il mensile IN Magazine. Attualmente collabora con il Corriere Romagna che ha sede a Rimini, con il mensile PrimaFila Magazine che si occupa di cinema e libri, ed in ultimo ma non per importanza, con Showinair.news, l'attuale Testata Giornalistica, con articoli e interviste inedite a personaggi dello spettacolo del cinema, televisione, teatro, musica e articoli di cultura.