Una serata dedicata al pensiero libero, all’irriverenza, alla profonda leggerezza di un genio che ha attraversato il novecento con la naturalezza, il coraggio, la sfrontatezza che lo hanno reso unico e irripetibile: questo è “Sempre fiori mai un fioraio!” – omaggio a Paolo Poli -, lo spettacolo che ha aperto la stagione del teatro Niccolini di Firenze con Pino Strabioli, un nome e una garanzia di emozioni.
L’infanzia, gli amori, la guerra, la letteratura, pennellate di un’esistenza che resta un punto di riferimento non soltanto nella storia teatrale di questo paese: questo e molto altro verrà portato in scena. Proprio riguardante il palcoscenico, inizia la nostra chiacchierata con Strabioli, attore, autore, conduttore televisivo e regista teatrale che da sempre si divide fra piccolo schermo e teatro conducendo il pubblico per mano con i suoi racconti.
Pino, partiamo dalla tua ultima fatica teatrale. Come descriveresti Paolo Poli?
Probabilmente un’intera generazione non lo conosce. Durante le repliche di questo spettacolo, mando immagini e video su di lui, inerenti alla sua persona e al suo enorme talento teatrale proprio per rendere partecipi ogni fascia d’età del pubblico. Tempo fa, dopo lo spettacolo, sono entrati in camerino alcuni giovani e hanno riconosciuto in Poli una modernità assoluta veicolata dall’intelligenza e dalla cultura. Era una calamita irresistibile in tutto, un divulgatore di sentimenti.
In cosa consiste la sua grandezza?
Insieme a Carmelo Bene e Dario Fo, ha inventato un linguaggio teatrale che è di fatto il suo marchio. Con lui, finzione e realtà si uniscono. E’ l’uomo più libero che io abbia conosciuto: si sempre auto prodotto il teatro, non è mai stato succube di regole politiche e ha sempre fatto un teatro d’avanguardia.
Ci spieghi del perché di questo titolo?
E’ sempre stato molto corteggiato delle più importanti case editrici per una sua biografia; fortunatamente a me ha detto sì, il mio è un omaggio. Tutte le volte in cui andavamo a pranzo insieme, con il suo benestare, registravo le nostre conversazioni. Quando in camerino gli venivano portati fiori, lui diceva: “Sempre fiori mai un fioraio”; da lì è nato tutto.
Stiamo cercando di uscire da un periodo piuttosto buio per tutti noi, tu come l’hai vissuto?
Sono stato fortunato perché ho continuato a fare radio e televisione, non mi sono mai fermato. Con il programma di Rai Radio 2, sono rimasto in contatto con il pubblico cercando di far superare quei momenti di solitudine che la pandemia ha obbligato ai più. Così facendo, ho ulteriormente capito l’importanza del nostro mestiere, nonostante le decisioni prese dal governo. Vedere tuttavia i teatri chiusi era sinonimo di grande tristezza.
Com’è stato tornare sul palcoscenico?
A Firenze, per esempio, l’emozione è stata fortissima perché era un ritorno alla città di Poli inaugurando un teatro storico. Percepisco la voglia di stare insieme, di partecipare insieme ad un’emozione.
Tu e la sacra scintilla del teatro com’è scoccata?
In realtà non credo di averla mai avuta, ma c’era piuttosto l’urgenza di fuga dalla realtà. A Orvieto ho scoperto il teatro e ho avuto la possibilità di assistere a spettacoli con artisti che non facevano parte del mio quotidiano. Da lì, ho capito che volevo fare questo nella mia vita. Volevo raccontare, ma avevo anche la necessità di ascoltare.
Victor Hugo affermava: “Il teatro non è il paese della realtà: ci sono alberi di cartone, palazzi di tela, un cielo di cartapesta, diamanti di vetro, oro di carta stagnola, il rosso sulla guancia, un sole che esce da sotto terra. Ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco“. E’ davvero così?
Assolutamente sì. Quando una sala diventa buia, i cuori si aprono e respirano, c’è uno scambio di verità tra attori e pubblico. E’ la forma d’arte più finta e più vera
Quale significato ha per te la parola Emozione?
E’ stupore. Quando mi stupisco, mi emoziono. Tutto ciò me lo offre il teatro ma anche la vita. l’incontro con l’altro mi commuove, mi arricchisce, dunque mi emoziona.
Chi è Pino Strabioli oggi?
E’ un uomo tranquillo, in parte risolto ma ancora molto curioso. Ha avuto molta fortuna ma l’ha anche saputa coltivare. E’ riuscito a governare i difficili meccanismi dello spettacolo. Ha conquistato ed è stato conquistato da mostri sacri come Poli, Valeri e Melato. Ha sempre coltivato la memoria. Si annoia facilmente avendo vissuto importanti pezzi del Novecento ma è molto fiducioso per le nuove generazioni.
Non solo attore, ma anche autore e regista. C’è molta differenza stare dietro le quinte piuttosto che sul palco?
Molta anche. Mi piace esserci, dirigere me stesso e gli altri divertendomi. Mi piace anche essere autore di me stesso.
Nella tua brillante carriera, c’è anche tanta, tantissima televisione. Com’è cambiata da quando hai iniziato a muovere i primi passi?
Il piccolo schermo è cambiato, così com’è cambiata la società. Ha della forti responsabilità. Oggi è un’industria con tempi molto stretti. Manca molto la tv di una volta, ma oggi si avvicina molto alla realtà che viviamo.
Più che un conduttore, molti ti definiscono un “narratore”. Ti rivedi in questa definizione? Perché?
Sì, è un complimento quando mi dicono che racconto storie con un tono pacato e tranquillo; questa è sicuramente la matrice teatrale. Cerco sempre di costruire, dando un inizio e una fine con spazi di libertà.
Si può fare cultura in tv?
Si deve fare. Ogni forma di racconto è cultura.
I tuoi prossimi progetti?
Porterò a teatro uno spettacolo scritto da Maurizio Costanzo e mi auguro di poter omaggiare Pasolini per il suo centenario tentando di raccontare un gigante.