Torino nel 1967. La corsa per il trapianto di cuore è il grande sogno di Cesare Corvara, primario delle Molinette e fondatore del primo reparto di cardiochirurgia italiano. A sostenerlo nell’impresa il suo pupillo, Alberto Ferraris, un giovane dal talento cristallino. Accanto a loro Enrico Mosca, capo chirurgo che coltiva il sogno segreto di sostituire Corvara alla prima occasione. A scompaginare il difficile equilibrio dell’ospedale arriva dagli Stati Uniti Delia Brunello, una delle prime specialiste nel settore. A vestire i panni del primario troviamo Daniele Pecci, volto assai noto del piccolo e grande schermo, oltre che del teatro. L’attore ancora una volta presta benissimo anima e corpo al suo personaggio: un medico attento, caparbio e piuttosto positivo nell’affrontare la vita nella fiction “Cuori”- diretta da Riccardo Donna e in prima serata su Rai1 dal 17 ottobre -, una serie tv moderna, ricca di intrecci e colpi di scena, che saprà rendersi unica nel proprio genere. Ne abbiamo parlato proprio con l’attore.
Daniele, innanzitutto perché accettare questo importante progetto televisivo che la vede protagonista?
“Erano diversi anni che non ero in tv, avevo scelto di non farla più. Eppure questa volta, tra varie proposte, ho detto di sì a Cuori perché mi sembrava ben fatta”.
Siamo a Torino a metà circa degli anni sessanta. Come descriverebbe quel febbricitante periodo?
“Quelli erano anni di speranza e positività; tutto sembrava possibile, persino l’uomo è riuscito ad andare sulla Luna. Erano anni ricchi dal punto di vista artistico. Sono stati girati film e portati a teatro progetti tra i più belli realizzati. Progresso e benessere facevano pensare a un futuro piuttosto roseo”.
Le fiction medical hanno sempre avuto un grande successo, soprattutto in questo particolare periodo storico. Perché?
“L’ospedale è da sempre il luogo in cui la vita e la morte vanno di pari passo, essendo due facce della stessa esistenza. Può infondere speranza. Lo stato di tensione rimane comunque drammatico. Abbiamo girato tra un lockdown e l’altro con un set rigorosamente chiuso, facendo tamponi molto spesso e ben consapevoli che il bene dipendeva dai nostri rispettivi comportamenti”.
Veste i panni di Cesare Corvara. Ci racconta che uomo è?
“E’ un grande primario, un grande medico, un grande scienziato che si ispira a un dottore realmente esistito che a Torino a tentato di fare il primo trapianto. E’ dedito a un grande sogno, molto concentrato sul suo lavoro, con una grande passione per il suo mestiere. E’ schietto, deciso, con un grande carisma. Viene visto come una sorta di dio quando si muove per i corridoi dell’ospedale. E’ una persona rara, buono e positivo, anche se dovrà combattere con alcune avversità”.
Dal titolo sembra quasi che il cuore abbia una doppia valenza in questa serie tv. Per il primario delle Molinette è così?
“Certo. Tentiamo di raccontare l’ambivalenza del cuore come muscolo e come elemento di emozioni”.
E per lei che è attore, cuore ed emozione vanno di pari passo? Quale significato hanno?
“Dipende dagli artisti. Nel mio caso io non divido mai il cuore dal cervello, vanno di pari passo. Cerco di dare sempre inizialmente un approccio razionale a tutto quello che faccio, ma inevitabilmente le emozioni arrivano sempre”.
Questa fiction affronta diverse tematiche, prima fra tutte sicuramente quella del trapianto e conseguentemente del donare gli organi e quindi la vita.
“Sono favorevole alla donazione di organi. Quando il corpo non ha più la possibilità di recuperare la vita con una morte cerebrale, la vita diventa inutile, motivo per cui la si può regalare a chi ne ha pi bisogno”.
Cosa si augura arrivi al grande pubblico che la guarderà su Rai1?
“Mi auguro che si diverta e che si appassioni alle vicende dei personaggi e della storia che andiamo a raccontare. Noi ce l’abbiamo messa tutta”.