L’attrice: “Vietare il film ai minori di 18 anni è mancanza di coerenza”
In un quartiere residenziale di Roma sorge una nota scuola cattolica maschile dove vengono educati i ragazzi della migliore borghesia. Le famiglie sentono che in quel contesto i loro figli possono crescere protetti dai tumulti che stanno attraversando la società e che quella rigida educazione potrà spalancare loro le porte di un futuro luminoso. Nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975 qualcosa si rompe e quella fortezza di valori inattaccabili crolla sotto il peso di uno dei più efferati crimini dell’epoca: il delitto del Circeo. I responsabili sono infatti ex studenti di quella scuola frequentata anche da Edoardo, che prova a raccontare cosa ha scatenato tanta cieca violenza in quelle menti esaltate da idee politiche distorte e da un’irrefrenabile smania di supremazia. Un fatto realmente accaduto. Una storia di violenza. Una generazione di giovani arrabbiata e senza punti di riferimento, cresciuti in famiglie borghesi ‘splendenti’ all’esterno e incapaci di infondere nei figli senso di responsabilità. E l’impunità, grande tema di questa storia, è l’assenza del concetto di limite. “La scuola cattolica“, dal 7 ottobre al cinema, racconta la tipica vita scolastica all’interno di un rinomato istituto religioso maschile della Roma bene. Stefano Mordini torna alla regia per portare sul grande schermo la storia tratta dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati, vincitore del Premio Strega 2016. Il film sul massacro del Circeo è stato presentato fuori concorso alla 78esima Mostra del Cinema a Venezia. Tra gli interpreti troviamo la giovane e magnetica Federica Torchetti (Ph. Francesco Guarnieri).
Federica, cominciamo dall’inizio. Perché dire sì a un progetto di così forte impatto emotivo?
“Ho detto di sì prima come donna e poi come attrice; non potevo per nessun motivo esitare. Era doveroso poter dare voce a chi voce purtroppo non ha avuto”.
Tu vesti i panni di Rosaria Lopez. Come ti sei preparata?
“Ho letto i pochi articoli scritti sul suo conto ma è al Circeo che è nata la mia interpretazione. Ho lavorato molto sul contesto storico e culturale di quegli anni: come, in quel periodo storico, la donna fosse considerata ai margini della società. Oggi sta avanzando sempre di più nella parità dei diritti ma i femminicidi non smettono di accadere”.
Che tipo di ragazza era?
“La definirei una ragazza normale e molto semplice che conduceva una vita ordinaria con una gran voglia di evadere dalla società in cui viveva. E’ nata nella periferia romana da una famiglia siciliana. Cercava di affermarsi”.
Questo è un film crudo ma reale. Tu conoscevi questa storia? Come?
“A dire la verità prima del film conoscevo molto poco; sapevo dell’esistenza di questa triste storia dai giornali e dai TG, ma non così a fondo. Mi è dispiaciuto non averla conosciuta prima”.
La parola violenza cosa suscita in te? A quale immagini la associ?
“E’ un cattivo mezzo per auto affermarsi, per prevalere sugli altri, nascondendo fragilità e insicurezze controllate male. Quando penso alla violenza penso a quella di genere, al bullismo, alla sopraffazione e alla legge del più forte sul più debole”.
Portate sul grande schermo una delle pagine più buie della nostra storia. A chi e cosa, secondo te, si dovrebbe dire no?
“A ciò che non ci va di fare, a un bacio che non si vuole dare, a un gesto non rispettoso, a un comportamento che offende la dignità per essere leali e onesti con sé stessi”.
“Cambia le tue stelle, se ci provi riuscirai. E ricorda che l’amore non colpisce in faccia mai. Figlio mio ricorda l’uomo che tu diventerai. Non sarà mai più grande dell’amore che dai”, canta Ermal Meta in “Vietato morire”. Chi sbaglia può cambiare, per te?
“Certamente, ma il percorso da affrontare non è dei più semplici e immediati. Sicuramente un supporto psicologico deve esserci, ma tutti possiamo cambiare se lo vogliamo”.
Cosa vorresti arrivasse del film al pubblico?
“Mi piacerebbe lo vedessero più giovani possibili. L’emergenza sociale invocata nel film è anche oggi presente, purtroppo. Sono necessarie una rieducazione e denunce; il silenzio deve essere vietato. Mi dispiace molto che sia vietato ai minori di 18 anni perché la storia che raccontiamo è vera e non inventata: è mancanza di coerenza visto che oggi tutti utilizzano i social network a qualunque età”.