Diego Mancini è uno stimato chirurgo che a soli quarant’anni è diventato professore ordinario di cardiochirurgia. Ha tutto dalla vita: una compagna, Elena, che ama, una figlia acquisita, Anna ed un figlio naturale, Paolo. Diego ed Elena sono in attesa del divorzio di lei per potersi sposare, e quando questo accade, i due sono pronti al grande passo. La vita tuttavia mette loro davanti un ostacolo: Paolo è infatti affetto da una cardiopatia per cui neanche Diego, abituato in sala operatoria a salvare le vite dei suoi pazienti, può fare nulla. L’unica strada è quella del trapianto, per cui il bambino è in lista d’attesa. Per Paolo, Diego è disposto a tutto, anche a mettere in discussione i suoi principi ed il giuramento sotteso alla professione medica. Si ritrova così ad accettare un compromesso che lo porta a diventare il medico personale di Cosimo Patruno, boss latitante. Diego si ritrova così in una rete di bugie e segreti che rischiano di mettere in pericolo quella stessa famiglia che vuole salvare. Di fronte ad un bivio, dovrà pensare al suo bene e fare di tutto, fino all’ultimo battito, pur di salvare anche se stesso. Dal 23 settembre vedremo in prima serata su Rai1 una fiction che ci terrà incollati allo schermo fino alla fine. Si tratta di “Fino all’ultimo battito” che vede protagonisti Marco Bocci, Violante Placido, Fortunato Cerlino, Bianca Guaccero e Loretta Goggi. La regia è affidata a Cinzia TH Torrini e la serie tv è stata scritta da Andrea Valagussa (Ph. Federica Di Benedetto), Fabrizia Midulla, Maura Nuccetelli, Elisa Zagaria e Nicola Salerno. Si tratta di una coproduzione Rai Fiction-Eliseo Multimedia, prodotta da Luca Barbareschi. Noi ne abbiamo parlato con Andrea Valagussa, una firma che non delude mai e che oramai stiamo conoscendo sempre di più.
Andrea, partiamo dall’inizio: come è nata l’idea di scrivere questa storia?
“Lo spunto iniziale proviene da un giovane e promettente sceneggiatore, Nicola Salerno, che firma la serie con me, Fabrizia Midulla, Maura Nuccetelli ed Elisa Zagaria. Il suo concept si intitolava “Il medico della mala” e si poneva l’ambizioso obbiettivo di mescolare due generi usualmente distinti: medical drama e crime. Quando Eliseo mi chiese di partecipare al progetto, ne fui subito entusiasta. L’idea di raccontare un protagonista che al contempo potesse operare per il bene e il male, mi pareva sfidante, ma avevo bisogno di capire. Per questo posi subito la domanda che poi è stata guida per tutto il nostro lavoro: perché mai un medico, uno stimato professionista che dedica la sua vita agli altri, dovrebbe prestarsi a lavorare per la malavita organizzata? Quali potrebbero essere i motivi che lo spingono a “compromettersi”? Indagare l’animo umano, sviscerarlo nelle sue infinite possibili sfaccettature, è da sempre la mia stella polare. In particolare, mi piace raccontare storie di uomini “comuni” che si trovano in circostanze straordinarie, immaginare storie che potrebbero capitare a ognuno di noi”.
Il protagonista indiscusso sarà Marco Bocci, perché scegliere proprio lui?
“Marco cercava una storia che lo coinvolgesse e lo sfidasse, cercava un personaggio diverso con cui confrontarsi, un antieroe che deve combattere non per salvare il mondo, ma per emendare le proprie colpe, insomma un uomo vero, fallibile, che deve rincorrere la vita. Noi cercavamo Marco Bocci. Il matrimonio perfetto!”
Veste i panni di un medico chirurgo stimato ma che dovrà fare scelte molto delicate, non solo per se stesso ma anche per la sua famiglia. Cosa significherà per lui scegliere?
“Torniamo alla domanda guida. In uno schema facile se la mafia ha bisogno di te, ti obbliga a obbedire ricattandoti. Era una possibilità, ma cercavamo qualcosa di più sfidante, di meno esteriore. Il nostro Diego è un personaggio che diventa “mafioso” ancora prima che la mafia lo intercetti, un medico integerrimo, un compagno fedele, la persona più lontana possibile dalla malavita che per un attimo mette da parte i propri principi e la propria morale per un interesse personale. Non per vanità, non per bisogno economico, non per vizio, ma per amore. Rifacendosi al mito somiglia ad Orfeo. Per amore chiude gli occhi e sceglie la via del compromesso. Lo fa in maniera consapevole, da medico, pensando di poter presto emendare, ricucire, ma come dice un detto popolare, quando il diavolo ti accarezza è la tua anima che vuole”.
E oggi, lontano dall’apparente finzione di una fiction, cosa vuol dire scegliere secondo te?
“Significa prima di tutto informarsi, studiare, contare fino a dieci prima di parlare o scrivere sui social”.
Possiamo dire che sia una fiction che unisce il drama, l’action e un forte pathos per gli argomenti trattati?
“Tre sono le colonne su cui si basa Fino all’ultimo battito. Il medical, Diego è un cardiochirurgo, vive per salvare la vita agli altri. Il crime, Diego, per via delle sue scelte, finirà in una spirale di ricatti e compromessi sempre più inaccettabili legandosi a un pericoloso mafioso splendidamente interpretato da Fortunato Cerlino. Il famigliare/sentimentale, Diego è un padre di famiglia, uomo innamorato della sua compagna, l’incantevole Violante Placido, che finalmente sta per sposare, ma a cui si trova a nascondere il suo lato oscuro”.
Un’altra componente che sembra emergere fortemente è sicuramente l’amore che racconti ancora una volta in tutte le sfumature. Come viene affrontata?
“L’amore è il motore del mondo. Per amore si possono fare le scelte più nobili, ma anche le più terribili. Diego le farà entrambe. Per amore del figlio si troverà costretto in una relazione sempre più ingombrante con Rosa Patruno, nuora del boss, interpretata da una conturbante Bianca Guaccero, relazione che rischierà di minare quella con la sua compagna di vita”.
Sono diverse in questo particolare periodo le storie che direttamente o indirettamente hanno come protagonisti camici bianchi. Per quali motivi sono così tanto seguiti e soprattutto quali valori incarnano?
“Noi abbiamo iniziato a scrivere questa serie prima del covid, ma proprio questa maledetta pandemia ha ricordato a tutti chi sono i medici, donne e uomini che combattono ogni giorno in trincea per salvare vite umane. Io poi li conosco bene. Mio padre è stato un cardiologo e mia sorella ne ha seguito le orme. So bene che essere medici non è una professione, ma una sorta di missione, totalizzante. Ne ho avuto la dimostrazione lampante il giorno del funerale di mio padre. In chiesa una moltitudine di persone riconoscenti, sul piazzale una decina di ambulanze a tributargli con le sirene accese una sorta di ringraziamento. In quel momento ho capito che il mio sentirlo distante durante l’adolescenza aveva una motivazione nobile e che la famiglia di cui si doveva occupare non eravamo solo mia madre, i miei fratelli e io, ma un’intera città”.
Cosa, per te, dovremmo vivere “Fino all’ultimo battito”?
“Vivi ogni giorno come se fosse il primo e l’ultimo. È una massima che ho sempre amato e che vorrei ispirasse la mia vita e quella dei miei figli. Ogni cosa insomma vale la pena di essere vissuta fino in fondo, dalla più piccola alla più grande. Ma di sicuro giovedì 23, alle 21,25, vale la pena viversi fino in fondo la stupenda fiction che andrà in onda su Rai1”.
Cosa ti auguri arrivi al grande pubblico di queste prime sei serate Rai?
“Mi auguro di intrattenere, appassionare, ma anche far riflettere su come il confine tra bene e male sia più labile di quel che si pensa. Di come anche dietro l’apparentemente più giustificata deroga si nasconda il rischio di non poter più tornare indietro”.
I tuoi prossimi progetti?
“Per contratto e scaramanzia non posso anticipare troppo. Ti do solo 3 titoli: Un distopico per Rai 1, La caccia a un omicida seriale in una città particolare come Bolzano, un true crime su uno dei più enigmatici casi della nostra storia giudiziaria. Tre progetti già in fase di scrittura, tutti ambiziosi e sfidanti e che spero di potervi presentare molto presto”.