Un road movie, un film documentario, un viaggio nel cuore del rapporto tra l’uomo e la natura: questo e molto altro è il docufilm, diretto da Dario Acocella, che sarà presente nelle migliori sale italiane il 7, 8 e 9 giugno. Quello che vedremo sarà un viaggio diverso e che ha come protagonista lo scrittore Paolo Cognetti autore di “Le otto montagne” (premio Strega 2017) e l’illustratore Nicola Negrin. Sarà un viaggio dal potente impatto visivo, sulle orme dei grandi scrittori americani e di Chris McCandless di “Into the Wild”, un “passo dopo passo” letterario ed emozionante dalle Alpi all’Alaska: dalla sepoltura di Raymond Carver al Klondike di Jack London, dai laghi pescosi di trote di Ernest Hemingway alla natura selvaggia di Thoreau fino a raggiungere il Magic Bus, la “casa” che ospitò il giovane californiano con la volontà di vivere in solitudine nel 1992 a 382 chilometri a nord di Anchorage, sullo Stampede Trail, nel parco nazionale di Denali. Prodotto da Samarcanda Film con Feltrinelli Real Cinema e con Rai Cinema, con il sostegno della Regione Valle d’Aosta e del MIBACT, distribuito da Nexo Digital in collaborazione con i media partner Radio Deejay e MYmovies.it, “Sogni di Grande Nord” è un accurato pellegrinaggio meditativo alla ricerca di una nuova frontiera esistenziale per l’uomo e per la sua convivenza con l’ambiente. Ne abbiamo parlato con il regista.

Dario, partiamo dal titolo. Sembra quasi che il sognare sia qualcosa di irraggiungibile – soprattutto oggi -, soprattutto se si pensa alle vaste terre del Nord. Com’è stato il Sogno di Grande Nord, tuo e di Paolo Cognetti?

“Inizialmente il progetto si chiamava “Grande Nord”; con il passare poi di quello che abbiamo vissuto, è diventato “Sogni di Grande Nord” perché abbiamo cercato di raccontare, oltre al viaggio on the road, anche quello in profondità. Paolo Cognetti ha deciso di lasciare il caos di Milano per scegliere una vita eremitica in Valle D’Aosta e questo ci ha portato a riflettere su luoghi che Paolo fino a quel momento aveva solo sognato. Essendo lui il protagonista di questa storia che vedrete sul grande schermo, fortunatamente ci siamo ritrovati a percorrerli e a viverli da vicino”.

Perché scegliere proprio Cognetti come protagonista di questo viaggio?

“Uno dei produttori di questo docufilm, Francesco Favale, conosceva già Paolo, lo apprezzava molto come scrittore e mi è stato suggerito di avere lui come primo “attore” in questa avventura cinematografica. Cognetti inoltre è un grande estimatore di Alice Munro, scrittrice canadese, premio Nobel per la letteratura, ancora in vita e all’inizio l’idea era quella di fare un reportage su di lei. Personalmente avevo un’altra idea di viaggio,  così – dopo anche la vittoria dello Strega con “Le otto montagne” – la mia tesi ha avuto la meglio. I due punti cruciali del nostro itinerario dovevano essere la tomba di Carver e il Magic Bus di McCandless”.

Tutto inizia proprio a Port Angeles (nello stato di Washington), dov’è sepolto Raymond Carver. Perché cominciare proprio da lì, dal luogo di commemorazione dello scrittore americano?

“E’ un autore molto caro a Paolo, probabilmente lo scrittore per cui Cognetti ha iniziato a scrivere; ha scoperto Carver in adolescenza ed è stato il primo che gli ha fatto sognare di diventare uno scrittore”.

“Vi è una pazienza della foresta, ostinata, instancabile, continua come la vita stessa”, questa è una citazione da “Il richiamo della foresta” di Jack London. Attraversando i diversi territori, cosa stava cambiando intorno a voi?

“Abbiamo percorso oltre 6 mila chilometri. Percorrendo gli ultimi tratti canadesi, abbiamo capito che la natura stava assumendo un aspetto completamente diverso da quello che conosciamo: non avevamo mai visto una natura combattere così ardentemente per esistere. Le condizioni climatiche di quelle zone sono proibitive per chiunque, non solo per l’uomo, ma anche per gli animali. L’inverno è a 50 gradi sotto zero, senza strade asfaltate e una vita che lotterà sempre per esserci. La sensazione che si ha attraversando quei luoghi è che l’elemento estraneo sia proprio l’uomo, la natura invade gli spazi e si ha in un certo senso il timore di esserne risucchiato”.

Le suggestioni di Herman Melville ed Ernest Hemingway: in che  modo si riesce a restituire le atmosfere e le energie di quei luoghi?

“Sono due autori molto distanti. Hemingway, per quanto si creda che sia molto selvaggio, ha vissuto molto in città, mentre  Melville ha avuto una vita piuttosto errabonda. A distanza di decenni, la natura non è cambiata in quei luoghi, anzi è rimasta pressoché la stessa, la mano dell’uomo è ridotta a minimi termini e, visto il suo grande potere, l’essere umano continua a rimanerne distante”.

Hai incontrato volti e storie sorprendenti in cui emergeva un’accesa disabitudine alla socialità. Il silenzio e la solitudine quale valore hanno per gli abitanti?

“L’umanità in quei posti è disomogenea. Gli esseri umani sono lì in maniera provvisoria o per caso e sono completamente non inclini alla socialità ma cercano di sopravvivere a una natura sempre più impervia. Il silenzio e la solitudine sono parte integrante del loro esistere. La loro è una sorte di quiete surreale. In alcune zone non esistono neanche le linee telefoniche”.

Il viaggio si è concluso al Denali National Park, in Alaska, nel Magic Bus che fece da casa a Christopher McCandless. Per lui qual era il significato di casa, secondo te?

“Credo che la sua vita parli per lui. Ha lasciato scritta una lettera per la madre prima di morire, quando aveva capito che non sarebbe più riuscito a tornare indietro, forse avvelenato e malnutrito. Il Teklanika era ed è un fiume molto impetuoso, molto profondo nel centro e che richiede una certa attrezzatura e uno stato fisico non indifferente per essere attraversato. In questo scritto che è stato ritrovato, affermava di aver vissuto una vita bellissima perché era quella che desiderava. Proprio per questo credo che la sua vera casa sia stato il Magic Bus, espressione del massimo grado di libertà che lui cercava”.

Viene citata spesso l’anima irrequieta di Chris. Era giovane, e commise degli errori, ma solo chi vive a metà non sbaglia mai. Lui come ha vissuto e cosa l’ha spinto così oltre rispetto agli altri?

“E’ un argomento delicatissimo: per molti anni McCandless è stato condannato dai più per la sua scelta estrema e fuori dall’ordinario. Credo che condannare la ricerca della spiritualità altrui sia sbagliato. Chris ha scritto una lettera ad un amico prima di andarsene Into the wild e credo che in quelle poche parole si potesse comprendere il suo andare oltre, ovvero: per l’anima avventurosa di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo”.

Poche ore prima di morire Chris, su uno dei libri che aveva portato con sé, sottolineò un passaggio di Tolstoj: “Happiness only real when shared”. E’ davvero così? La felicità ha questo significato?

“La vera felicità per essere tale è solo se condivisa, quindi direi proprio di sì. Probabilmente Chris l’ha realizzato quando era troppo tardi, purtroppo. Anche se non sapremo mai perché di fatto ha sottolineato quel passaggio. Era consapevole che si trovava alla fine della vita, ma nella lettera alla madre ha affermato di andarsene soddisfatto di ciò che aveva vissuto”.

“E alla fine eccomi lì. La vita a volte è incredibile, dopo lunghissimi giri ti porta al centro esatto della tua storia. Il Magic Bus se ne sta su quella collinetta a ricordare la sua, a testimoniare ciò che è stato, credo, e a veder scorrere due torrenti e le stagioni, senz’altra compagnia che quella degli orsi e gli alci di passaggio”, ha affermato Cognetti. La libertà è questa?

“Chi può dirlo. Credo che la libertà esista quando esiste un contenuto, un progetto, un’identità umana. E’ un concetto molto meno astratto di quello che pensiamo. Nascere, crescere e vivere in una società evoluta è una chimera. E’ un concetto che l’uomo ha sempre cercato di afferrare e di codificare in presenza di regole”.

Quello che hai intrapreso è stato sicuramente un vero e proprio viaggio dell’anima. Cos’è cambiato in te dopo tutti questi chilometri percorsi?

“Sono stato costretto a riconsiderare quello che è il rapporto uomo – natura; di ritorno ho capito che è un rapporto molto complesso, abbiamo messo troppo poco al centro questo argomento nella nostra storia evolutiva”.