Buenos Aires. Lu e Fati sono madri adolescenti che vivono in una casa famiglia religiosa. Dall’Italia arriva Suor Paola, in procinto di prendere i voti perpetui. L’incontro tra le tre donne e il loro rapporto con la maternità scateneranno reazioni inaspettate. Questo ci racconta “Maternal”, nelle sale dal 13 maggio. Il film parte proprio dal dialogo (im)possibile tra due forme di maternità apparentemente sbagliate: quella, precoce, delle ragazze e quella, negata e spirituale, delle religiose. Ne abbiamo parlato proprio con la protagonista, l’attrice ucraina Lidiya Liberman che vediamo anche ne “Il cattivo poeta”.
Lidiya, partiamo dall’inizio. Cosa ti ha spinto ad accettare questo interessante ruolo?
“Ero ferma da diverso tempo ed avevo da poco partorito il mio secondo figlio. Mi è arrivata una sceneggiatura che mi ha aperto il cuore per la sensibilità, l’amore e la delicatezza con cui affrontava determinati argomenti, scritta e poi anche diretta da una donna. Ho accettato il provino che – devo ammettere – è stato uno dei più belli che ho affrontato. Non potevo certamente dire di no”.
Nel film hai le vesti di una religiosa, come ti sei preparata per impersonarla?
“La sceneggiatura era perfetta. Ho indagato sul concetto di vocazione, ho letto molte testimonianze e ho conosciuto Paola, una donna che ha vissuto esperienze simili a quelle del mio personaggio”.
Com’è suor Paola? Il tuo rapporto con le religione?
“E’ una donna che ha Dio sempre accanto a sé, è il suo sposo. C’è mistero sul suo passato. Nel corso del film, scoprirà un amore proibito per una religiosa, ovvero l’amore materno nei confronti di una bambina che accudirà quanto più possibile e che manderà in crisi gran parte di ciò che le è stato insegnato. Sono credente, o meglio credo nelle regole dell’amore; non approvo tuttavia che suore e sacerdoti, oltre al loro credo, non possano avere una propria famiglia e propri figli”.
Tra suor Paola e Lu e Fati si instaura una sorta di dialogo, in che modo?
“Soprattutto con Fati. Riusciranno a riconoscersi. Fati è una ragazza ancora molto giovane ma già madre. Entrambe si aiuteranno a far pace con il loro passato”.
Sei tra i protagonisti anche de “Il cattivo poeta” ora al cinema. Cosa pensi di Gabriele D’Annunzio?
“Mi piace molto. E’ un uomo e un artista fuori dagli schemi; voleva cambiare le cose e in parte ci è riuscito, ragionando con la propria testa e il proprio cuore. Aveva lati oscuri e poetici, eppure si è preso la libertà di essere se stesso”.
Sei nata in Ucraina ma l’Italia è la tua seconda casa.
“Già a 5 anni volevo fare l’attrice e andare a lavorare all’estero, nonostante sia cresciuta in una bellissima famiglia. A partire dagli 11 anni, trascorrevo due mesi estivi in vacanza in Italia, ospitata da una famiglia e mi ha subito colpito il sole, il mare, la gioia di vivere e il cibo. Sono cresciuta con i miti di Totò, Fellini, Anna Magnani. A 16 anni in un noto festival del cinema ho presentato e anche ho fatto parte della giuria; proprio in quell’occasione mi è stato suggerito di fare il Centro Sperimentale in Italia: ecco che è diventato il mio obiettivo”.
Perché, tra i tanti mestieri, hai scelto proprio quello di attrice? Cosa vuol dire recitare per te?
“Mi porta a lavorare su me stessa, ad osservare e a trovare costantemente il bello. Non so perché ho scelto mestiere, forse perché di fatto l’ho sempre saputo. Quando vivevo in Ucraina, abitavo davanti a un teatro che ospitava spesso compagnie teatrali dell’Unione Sovietica: ero sempre emozionata, ancor di più quando potevo conoscere di persona gli attori”.