Tutto inizia al Barrio, un quartiere immaginario alla periferia di Milano abitato da immigrati, giovani di seconda generazione e senzatetto. Qui vive il protagonista Omar insieme al padre e alla sorella minore Awa. Nel Barrio lo chiamano Zero: come il numero che porta sulla canotta da basket e come il valore che gli attribuiscono. Ma Omar-Zero è speciale. Quando le emozioni diventano troppo intense, puff, lui scompare nel nulla: e così il suo punto debole diventa la sua forza. Gli altri ragazzi del Barrio lo convincono a usare il superpotere per salvare il quartiere da chi vuole distruggerlo. Omar, però, nel frattempo si è innamorato di Sara, che è bianca, bella e vive nella «nuova» Milano, la città dei grattacieli luccicanti lontana anni luce dai casini del Barrio. E l’amore, si sa, confonde sempre tutto. Omar/Zero è il protagonista della nuova serie italiana di Netflix intitolata “Zero”, un teen drama con elementi soprannaturali disponibile sulla piattaforma streaming dal 21 aprile. 8 episodi per raccontare il tema degli italiani di seconda generazione. Della vita di periferia di una grande città: diversità, accettazione, impegno sociale. E per raccontare temi universali che nulla hanno a che fare con il colore della pelle o l’estrazione sociale: amicizia, amore e l’importanza di fare gruppo. Quello che viene raccontato è il mondo di oggi con i suoi temi, i suoi problemi, le sue speranze, le sue tante domande e le poche risposte. C’è uno spaccato di realtà molto più vera – e allo stesso tempo fantastica – di quella che certe trasmissioni di attualità pretendono di raccontarci. Su Netlfix. Tutto nasce da un’idea di Antonio Dikele Distefano, 28 anni, italiano di Busto Arsizio con genitori angol. Autore di tanti libri. Dal suo Non ho mai avuto la mia età è stata liberamente tratta la storia della serie. «In Zero c’è un bel po’ della mia storia di ragazzo “afroitaliano” vissuto fuori dal centro, in tutti i sensi», spiega Distefano. «Zero è la storia di chi accetta la propria diversità. Ma non bisogna fare l’errore di pensare che Zero parli di tutti i ragazzi di seconda generazione. Parla di valori e sentimenti, che sono validi a prescindere dal colore. Quando il colore della pelle non sarà più al centro del dibattito, quando sarà normale vedere serie italiane con persone di altre origini, allora finalmente quella sarà la normalità. Avremo vinto quando parleremo della storia e non del nostro colore».