Ha debuttato il 15 marzo “Màkari”, la nuova fiction di Rai 1 ispirata ai gialli di Gaetano Savatteri, per la regia di Michele Soavi e la sceneggiatura di Francesco Bruni, Salvatore De Mola, Leonardo Marini e Attilio Caselli. Appassionato, riflessivo e soprattutto intuitivo è il protagonista Saverio Lamanna che, perso il lavoro al Ministero dell’Interno, torna in Sicilia in uno dei luoghi più cari alla sua infanzia: a Màkari, piccolo borgo in provincia di Trapani, nella vecchia casa di vacanza dei genitori ormai disabitata da anni. Ed è lì che, tra un mare dalle mille tonalità di colore, paesaggi mozzafiato ed amici d’infanzia, riscopre l’amore per la sua terra natia, tra le sue luci e le sue ombre, oltre ad una passione rimasta sopita per anni, ovvero quella dello scrittore. A vestire i panni dell’ex giornalista di cronaca è un intenso Claudio Gioè (Ph. di Floriana Di Carlo), volto noto al grande pubblico della televisione, del cinema e del teatro che, ancora una volta, non delude e tiene incollati milioni di telespettatori. Il noto attore siciliano dopo aver interpretato magistralmente ruoli impegnati e di forte valore sociale, lo ritroviamo “investigatore per caso” in quattro prime serate tra giallo, commedia e mélo in una fiction – prodotta da Palomar – che ci racconta i molteplici colori della Sicilia. Con Claudio Gioè abbiamo parlato del suo personaggio, della sua carriera costellata di successi e della Sicilia, una terra affascinante e contraddittoria.
Claudio, ti aspettavi tutti questi ascolti da parte del pubblico per quest’ultima tua fatica?
“Siamo rimasti tutti felicemente sorpresi. E’ un prodotto televisivo nuovo che racconta la Sicilia in maniera piuttosto diversa rispetto al solito. La tensione della prima l’avevamo. Questo affetto però riscontrato nei nostri riguardi ci ha riempiti di gioia: Grazie davvero”.
Tu sei Saverio Lamanna, un uomo che ricorre a un piano “b” nella vita, portando avanti delle indagini che sono di carattere più psicologico e antropologico che poliziesco. Come lo descriveresti?
“E’ un uomo che cerca di ricontattare una sua passione giovanile che aveva messo da parte per seguire la concretezza di un lavoro e uno stipendio fisso al Ministero degli Interni a Roma. Aveva cioè messo a tacere quelle che erano le sue reali aspirazioni. Tornando in Sicilia, riscopre la sua curiosità per le tipologie umane che incontra, una curiosità che gli permetterà di capire le dinamiche che stanno dietro a fatti delittuosi. Lui è un ex cronista, motivo per cui saprà come muoversi, avendo un ottimo fiuto per ricavare notizie”.
“Canta più forte ma fallo in silenzio perché qui nessuno ci sente e ci vede ma Màkari è casa, è gioia e dolore. Màkari non la dimentico”. Questo canta Il Volo nella sigla della fiction, una sorta di ritratto della tua terra. Il silenzio che significato ha in Sicilia?
“Molteplici, anche negativi se pensiamo all’omertà che in più occasioni ha accompagnato certi aspetti culturali di questa terra. Oggi forse il silenzio è quello delle nostre istituzioni che non sono preoccupate per un Sud che versa in situazioni drammatiche da ormai troppi anni: l’assenza di infrastrutture e di servizi sono all’ordine del giorno, purtroppo”.
Anche tu, come Saverio, sei tornato nella tua terra. Hai sentito il richiamo del vento di casa?
“Forse perché come tutti i Siciliani che vanno via da una terra così misteriosa e fascinosa, anch’io ne sentivo la mancanza. Questo accade a Saverio Lamanna, anche se inizialmente lo nega. Di fatto, l’assenza della sua terra lo aveva allontanato da se stesso. Spesso accade che per proseguire il proprio percorso di vita, si debba tornare indietro di qualche passo, magari da dove si è partiti”.
Vittorio Gassman affermava: «Recitare non è molto diverso da una malattia mentale: un attore non fa altro che ripartire la propria persona con altre. È una specie di schizofrenia». E’ davvero così? Perché hai scelto questo mestiere?
“Ci sono tanti aspetti patologici in questo mestiere: un io estremamente estroflesso rivolto verso l’esterno e personalità borderline che vengono poi ritrovate nell’arte. Grazie a quest’ultima, riescono a ricomporsi nel gioco serio del “Se Fosse”. Un artista per essere tale molto spesso ha bisogno di conferme esterne. L’arte ha sicuramente aspetti curativi per l’animo umano”.
Tanti, tantissimi ruoli. Tra questi, ne va ricordato uno che sicuramente rimarrà impresso nella storia del cinema, ovvero “I cento passi” di Marco Tullio Giordana. Qual è stata, secondo te, la forza del cronista di Cinisi?
“La sua estrema libertà, la sua capacità di trasformare in arte, in sberleffo, in tragicommedia una situazione concretissima, reale e sanguinosa che si viveva in quegli anni, in quei territori in cui era nato. Ha pagato a caro prezzo la sua grande dedizione di sentirsi libero, di dire nomi e cognomi e di denunciare ad alta voce quanto stava accadendo, sbeffeggiando chi aveva in mano il potere. La sua forza è stata quella di dire sempre la verità, di non abbassare mai la testa. Era una persona straordinaria”.
Hai vestito anche i panni del padre del piccolo Salvatore ne “La mafia uccide solo d’estate” di Luca Ribuoli, tratta dall’omonimo film di Pif. Quanto sono importanti l’ironia e il coraggio ai giorni nostri?
“Sono sempre stati importanti nella denuncia e sempre lo saranno, sin dai tempi del teatro greco. Sono armi molto affilate perché, oltre che ad affilare l’intelligenza di chi guarda un simile spettacolo, lo fa ragionare, gli permette di andare avanti con una maggiore presa di coscienza di quanto avviene”.
Hai interpretato anche Totò Riina ne “Il capo dei capi” diversi anni fa, raccontando, a differenza di altre pellicole, il male. Quale significato ha avuto per te?
“La recitazione è un atto creativo molto vicino alla vita; è un gioco molto serio. Quando interpreto un personaggio, positivo o negativo che sia, cerco sempre di guardare il quadro generale e la funzione che il mio personaggio ha in quella storia. Normalmente la società in cui viviamo tende a rimuovere il male presente nell’uomo; quando poi viene affrontato questo tema, diventa un’occasione per tutti di riscoprire alcuni lati che purtroppo fanno parte dell’essere umano”.
Hai interpretato anche il giornalista Mario Francese in “Liberi Sognatori”, oggi possiamo ancora essere liberi e sognatori?
“Credo che ognuno di noi possa e debba sentirsi libero, anche se la libertà comporta sempre delle responsabilità. Ognuno di noi dovrebbe ragionare con la propria testa, senza condizionamenti, cercando di guardare a fondo nella realtà in cui viviamo per assaporare la nostra esistenza in ogni sua sfumatura. La nostra mente deve essere costantemente allenata, anche in situazioni di costrizioni come quella in cui stiamo vivendo”.
Questo è sicuramente uno dei periodi della storia più difficili a causa della pandemia. Tu come l’hai vissuto e come lo stai vivendo?
“C’è molta stanchezza psicologica per una situazione che sembra non volgere mai al termine. Ci opprime, non ci permette di uscire, di incontraci, di abbracciarci. Questa non è vita ma solo sopravvivenza. Posso solo augurarci che tutto questo finisca il prima possibile. La speranza c’è”.