In queste settimane stiamo vedendo un’interessante fiction targata Rai1 diretta da Tiziana Aristarco. Ispirata a due racconti di Maurizio De Giovanni. “Mina Settembre” racconta la vita piena, frenetica, a volte buffa e a volte malinconica di un’assistente sociale dal cappotto rosso e dalla vita sentimentale turbolenta. Ad impersonare la giovane donna è Serena Rossi che è affiancata da Giorgio Pasotti, Giuseppe Zeno e Marina Confalone. Di questa sua ultima fatica, del difficile ruolo delle donne in questo settore, del complicato periodo che stiamo vivendo e del suo percorso, abbiamo parlato proprio con Tiziana Aristarco, già regista di “Un medico in famiglia“, “Provaci ancora prof!” e “Come fai sbagli“, per citarne alcuni.
Tiziana, com’è nata l’idea di portare sul piccolo schermo “Mina Settembre”?
“Non l’ho deciso io. Sono stata contattata dalla produttrice Paola Lucisano che ha letto i libri di Maurizio De Giovanni e se ne è innamorata. Da lì è cominciata ad esserci la possibilità di farne nascere una fiction. Ci sono voluti ben tre anni per questo progetto televisivo. Ho amato sin da subito questa storia con i suoi personaggi anche se sono stati liberamente riscritti da un team di sceneggiatori”.
Com’è la tua Mina?
“E’ una donna moderna, ovvero colei che deve contare solo se stessa. Ha scelto di aiutare il prossimo, non ha sovrastrutture: è diretta, empatica e riesce a connettersi con gli altri. E’ una psicologa e un’assistente sociale, vede un qualcosa in più nelle persone. Se crede in qualcosa o qualcuno, combatte fino alla fine. E’ rigida con se stessa e non vuole scendere a compromessi, ma vuole migliorarsi. E’ una donna non risolta ma che tenta di risolversi attraverso la risoluzione degli altri“.
Nel corso della fiction vediamo indossare a Mina un cappotto rosso, perché proprio questo colore?
“In gran parte della serie tv ho fatto indossare a Mina un cappotto rosso che permetteva al pubblico di riconoscerla subito ma che nello stesso tempo esprimeva lo stato d’animo del personaggio perché Mina è una donna piena di passione, che affronta ogni cosa magari in maniera politicamente scorretta, ma che va fiera di ciò che fa. Il rosso è un colore rumoroso”.
Per quali motivi hai scelto proprio Serena Rossi nel ruolo da protagonista?
“Serena era l’attrice più adatta per questo ruolo. Dopo “Io sono Mia” di mio marito Riccardo Donna, tutti ci siamo innamorati di lei. Oltre alla bravura, è fresca, empatica e con gli occhi che brillano. Mina poteva essere solo lei”.
Altro grande tassello importante è Napoli. Come la definiresti?
“Quando sono arrivata a Napoli, l’ho subito guardata con gli occhi di un bambino, quindi con gli occhi di chi la vede per la prima volta: tutto era bellissimo. Il racconto mi ha permesso di attraversare la città, andando sia nella parte più borghese e più ricca che nei quartieri più grossi, che sono teatro di disagi sociali. Fascino e bellezza ovunque: dal Vomero ai Quartieri Spagnoli e al Sanità”.
Sono oramai diversi anni che vediamo i tuoi successi in tv ma ora il settore dello spettacolo è in crisi per la pandemia che ha investito il mondo intero. Tu come lo stai vivendo?
“Innanzitutto questo periodo ha causato molto dolore per tutti, anche a coloro che fanno parte del mio settore con la chiusura di tutti gli spazi legati alla cultura. Fortunatamente, sono in parte riuscita a lavorare un po’ anche nel primo lockdown, nonostante la brutta situazione che stavamo vivendo. Inizialmente c’è stato uno spaesamento totale, perché dovevamo (e dobbiamo ancora) combattere con un pericoloso nemico invisibile in una solitudine non indifferente. In seguito, c’è stata una ripresa di set piuttosto veloce: dovevamo ultimare i lavori lasciati a metà e iniziarne di nuovi”.
Hai sempre voluto fare questo mestiere?
“In realtà no. Sono cresciuta a pane e cinema. Volevo far altro, eppure il DNA è stato più forte. Ho iniziato ad avere i primi contratti con la Rai e creato pian piano la mia carriera, anche se inizialmente in maniera del tutto inconsapevole. Mi piaceva raccontare storie”.
Sei figlia del critico cinematografico Guido Aristarco. Cosa ti ha insegnato? E’ stato difficile averlo come padre?
“Ricordo che andavamo al cinema nel pomeriggio e guardavamo insieme due o tre film. Alla sera discutevamo su quanto viso o su ciò che avremmo visto. Mi incantava quando parlava. Ho sempre considerato la rivista da lui fondata Cinema Nuovo come una sorta di sorella. Mi intrufolavo sempre alle sue lezioni. In quegli anni non avevo la percezione di quale potesse essere la mia strada, ora sì”.
Cosa vuol dire essere una regista donna in Italia?
“Siamo in poche: ci sono ancora troppi pregiudizi ai piani alti nei nostri confronti. Non ci sono ancora rapporti paritari purtroppo”.
Quale pensi sia il compito della fiction nel 2021 per il grande pubblico?
“Far pensare, ragionare, immaginare realtà diverse dalla propria e partecipare attivamente a quello che si sta guardando. Far stimolare il cervello”.
I tuoi prossimi progetti?
“La seconda stagione di “Mina Settembre'”