Da oggi, 25 gennaio, in prima serata su Rai1 inizierà “Il Commissario Ricciardi“, l’attesa serie tv tratta dai romanzi di Maurizio de Giovanni, editi da Einaudi, diretta da Alessandro D’Alatri con Lino Guanciale protagonista. Si tratta di una potente contaminazione di generi – poliziesco, mystery e melò – per un racconto coinvolgente che durerà sei puntate e che, sullo sfondo di una Napoli in chiaroscuro, indaga sul senso ultimo della vita e del dolore. E’ una coproduzione Rai Fiction-Clemart, prodotta da Gabriella Buontempo e Massimo Martino. E’ stata scritta, oltre che da Maurizio de Giovanni, Viola Rispoli e Doriana Leondeff, da Salvatore Basile che, ancora una volta, ci ha concesso di sapere e di scoprire di più tra le righe di questa nuova avventura della rete ammiraglia.
Salvatore, innanzitutto com’è nata l’idea di questa nuova avventura su Rai1?
“Impossibile, credo, leggere i romanzi del commissario Ricciardi e non pensare di farne una serie tv, almeno per gli addetti ai lavori. In questo caso sono stati bravi i produttori della Clemart, Gabriella Buontempo e Massimo Martino, ad assicurarsi i diritti dei romanzi di Maurizio de Giovanni e la Rai a cogliere l’occasione per trasferirli sullo schermo”.
Tu conoscevi Maurizio de Giovanni, l’autore dei romanzi?
“Lo conoscevo personalmente già da qualche anno ed ero già un suo accanito lettore quando mi è stato proposto di sceneggiare i suoi romanzi. La gioia è stata immensa, com’è facile immaginare. E anche il peso della responsabilità si è fatto sentire, visto il successo dei romanzi e il numero di lettori, davvero impressionante, con conseguenti aspettative altissime”.
In che modo tu e gli altri sceneggiatori avete interagito con lui?
“Insieme a Viola Rispoli e Doriana Leondeff abbiamo avuto un continuo e serrato confronto con Maurizio, fatto di lunghe riunioni, scambi di idee, discussioni, ma anche risate e momenti di euforia. Non era facile trasportare sullo schermo un personaggio silenzioso e misterioso come il commissario Ricciardi, pieno di segreti non rivelati e di tormenti interiori profondi senza rischiare di tradire l’atmosfera e il fascino della pagina scritta. Speriamo di esserci riusciti”.
Nella serie avete riproposto la Napoli degli anni ’30: come ci siete riusciti?
“Quella Napoli, così distante nel tempo, era già molto ben descritta all’interno delle pagine di Maurizio e ciò ci ha facilitato il lavoro. Oltre a ciò ci siamo documentati, come sempre bisogna fare, abbiamo passato in rassegna anche fotografie e documentari dell’epoca, letto giornali degli anni ’30. Il resto del lavoro l’ha fatto il regista insieme agli scenografi”.
Come definiresti quel periodo storico?
“Il ventennio fascista è stato uno dei più bui e tragici della nostra storia, lo sappiamo tutti. In quel contesto, la città di Napoli, soprattutto prima dell’entrata in guerra, possedeva (come sempre è stato) gli anticorpi per alleggerire, almeno nel quotidiano, il peso della dittatura e dare a tutti una seppur minima parvenza di vita normale, pur nelle difficoltà del periodo storico”.
Trovi più somiglianze o più differenze rispetto ad oggi?
“Il ventennio fascista ha comportato una serie di divieti e limitazioni della libertà, comprese quelle di parola e di pensiero. Poi ha provocato guerre, morte e miseria. Nulla è comparabile a quel periodo. C’è da dire che nel nostro “oggi” la pandemia ha introdotto nelle nostre vite molte limitazioni e divieti, per ovvi motivi. Ciò ha comportato, per tutte le generazioni nate dal dopoguerra a oggi, la prima esperienza di privazione (seppur giustificata) di alcune libertà individuali, oltre alla chiusura dei cinema e dei teatri e di tantissime attività commerciali e culturali. Di conseguenza stiamo subendo una crisi economica che potrebbe diventare simile a quella già vissuta nel dopoguerra, qualora la pandemia non fosse debellata in tempi brevi. Passerà, prima o poi. Ma intanto, per la prima volta, abbiamo assaggiato anche noi, come i nostri nonni, l’amarezza di una libertà limitata e la crisi del lavoro come mai accaduto prima. Ma i due periodi, comunque, non sono comparabili”.
Chi è Luigi Alfredo Ricciardi?
“Luigi Alfredo Ricciardi è un nobile cilentano che ha scelto di fare il commissario di polizia anche se poteva tranquillamente vivere di rendita nei suoi possedimenti. L’ha scelto perché ha un segreto: vive a stretto contatto col dolore degli altri e ne sente il peso. Lo vede e lo sente, quel dolore. Fare giustizia è un modo per lenirlo, per convivere con i suoi fantasmi, per dare un senso alla sua vita”.
La solitudine è molto presente nella sua vita. Cosa rappresenta per lui?
“La solitudine di Ricciardi è un rifugio e, allo stesso tempo, una scelta forzata. Il suo segreto è anche la sua maledizione. Una maledizione dalla quale vuole tenere al riparo gli altri,soprattutto le persone a lui care”.
Ha, tuttavia, una sorta di “dono” rispetto a molti altri poliziotti che abbiamo visto in tv. Ci racconti?
“E’ proprio questo “dono” il suo segreto: Ricciardi riesce a sentire l’ultimo pensiero delle persone che sono morte in modo violento, private improvvisamente della vita per mano altrui o per loro stessa scelta. Al cospetto delle vittime, riesce a vederle e ad ascoltare il loro ultimo grido di dolore, la frase estrema prima di morire. E quella frase non è quasi mai un aiuto per risolvere le indagini, anzi spesso rappresenta una complicazione, un ulteriore rebus da risolvere. E’ un segreto che ha scelto di non rivelare a nessuno, anche perché nessuno gli crederebbe”.
E per lui l’amore cosa rappresenta?
“Per Ricciardi l’amore è qualcosa di proibito, un rischio da tenere alla larga dalla sua vita, pur essendo innamorato di una sua dirimpettaia, pur sognando di vivere con lei una vita normale. Ma sente di non poter amare: sua madre aveva la sua stessa maledizione, sentiva, come lui, gli ultimi pensieri delle persone morte in maniera violenta. Quindi teme di trasferire l’identico potere che lui possiede a un eventuale figlio o figlia, con tutto il dolore infinito che comporta”.
Lev Tolstoj affermava: “Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiar se stesso”. E’ così anche per il commissario Ricciardi, oppure no?
“Credo che se Ricciardi potesse, cambierebbe volentieri se stesso, rinuncerebbe al suo dono per lenire, finalmente, il dolore che gli cammina accanto e vivere un’esistenza normale. E che sia troppo saggio per credere di poter cambiare, da solo, il mondo. Però… credo che si accontenti di aggiustarlo, per quel che gli compete, rendendo giustizia a chi subisce il torto della vita strappata in maniera violenta”.
I tuoi prossimi progetti?
“Sto lavorando a due film per il grande schermo e a una nuova serie e, logicamente, spero nella seconda stagione del Commissario Ricciardi. Vedremo”.