Siamo nel 1968 quando, nel pieno delle contestazioni, nasce una delle storie più strabilianti che si siano mai scritte in Italia. L’ingegner Giorgio Rosa è un uomo carico di idee ed ideali. Quasi prigioniero della grigia normalità che lo circonda, cerca di vivere alla sua maniera. La ragazza dei suoi sogni è stanca di inseguire i suoi mulini a vento e cerca stabilità. La sua famiglia lo vede come un ragazzo di buone promesse ma che si ferma a guardare i fiori sul ciglio della strada. È in questo clima che Giorgio decide di dare libero sfogo ai suoi progetti di libertà. Ispirato da un pannello pubblicitario, brevetterà i suoi piloni per un “sistema di costruzione di isole in acciaio e cemento armato per scopi industriali e civili”. Gaber cantava “la libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione” e Giorgio Rosa ha interpretato a modo suo il concetto, creando una partecipazione attiva e lanciando un segnale forte a quell’establishment bigotto ed asservito che reprimeva il libero pensiero. “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose” è l’ultima fatica di Sydney Sibilia. Un regista che è stato in grado di trovare un soggetto particolare, una storia in grado di coinvolgere lo spettatore e trascinarlo in un viaggio all’italiana. Il movie è su Netflix dal 9 dicembre. L’Isola delle Rose attira ben presto l’interesse della stampa e soprattutto di frotte di ragazzi da mezzo mondo, trasformandosi in mito, ma diventa un problema politico per il Governo italiano che non può tollerare la fondazione di un nuovo Stato in acque così vicine. Perché un’utopia che diventa realtà non può che avere conseguenze imprevedibili, al di là di ogni immaginazione. Tratto da una storia vera, “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose” è una produzione Grøenlandia che vede protagonisti Elio Germano, Matilda De Angelis, Leonardo Lidi, Fabrizio Bentivoglio, Luca Zingaretti e François Cluzet. Il film ha il pregio di raccontare, in maniera indiretta, gli anni delle contestazioni giovanili senza quel paternalismo ovattato che accompagna spesso le storie sul ’68.