Grandi occhi azzurri e talento da vendere: questo è Antonio De Matteo, un attore oramai molto conosciuto dal grande pubblico. Lo abbiamo visto in fiction e film che hanno riscontrato un ottimo successo e che, in alcuni casi, hanno trattato tematiche molto attuali. Con Antonio abbiamo parlato della sua recente “fatica” in tv, ovvero “Mare Fuori” di Carmine Elia (su Rai2), della sue origini campane, della difficoltà di esser attore oggi e dei numerosi progetti a cui ha preso parte.
Antonio, ti abbiamo visto recentemente in “Mare Fuori”, in un ruolo del tutto differente. Ci racconti chi interpretavi e perché hai detto sì a questo progetto?
“Ho vestito i panni di Lino, una guardia carceraria. Ho accettato perché era un ruolo diverso da quelli che ho già interpretato. Un ruolo diverso in una fiction piuttosto insolita rispetto a quelle viste fino ad ora. Lino è a metà strada tra i buoni e i cattivi. Il mio personaggio è demotivato: inizialmente credeva in quello che faceva e nella giustizia, poi qualcosa è cambiato. E’ garante della giustizia sociale e anche di Ciro”.
Questa serie tv ha raccontato un mondo, quello di una realtà di giovani piuttosto delicata. Tu che idea ti sei fatto?
“Le alternative per questi giovani sono piuttosto limitate. Ritengo che si debbano creare delle opportunità per loro. La società civile deve dare loro la possibilità di scegliere, soddisfacendo le loro aspettative sul proprio futuro. I contesti in cui vivono danno purtroppo poche aspettative”.
Il “Mare Fuori” è anche una condizione non soltanto geografica, ma anche uno stato d’animo. E’ così?
“Assolutamente sì. E’ ricerca di una libertà che sta a pochi passi. Questi ragazzi hanno paura di non arrivarci mai”.
Tu sei di Caserta ma da anni vivi a Roma. Cosa porti con te della tua città?
“Caserta Vecchia che è un borgo medioevale intatto, l’amore per la pallacanestro e l’arte di molti appassionati che hanno voglia di raccontare e raccontarsi”.
Roma come la definiresti?
“Da bambino, per me era la mia Hollywood, la meta più ambita. E’ bellissima e camminare per i suoi vicoli è qualcosa di unico. E’ tuttavia anche spietata perché vuole rimanere quello che è, senza cambiare mai”.
Ti abbiamo visto partecipare a molti progetti per il piccolo e grande schermo, ma cosa ti porta a dire sì a un progetto piuttosto che a un altro?
“La diversità tra un personaggio e un altro, oltre che la storia che si va a raccontare. E’ un costante allenamento. Credo molto nelle nuove leve, credo sia importante dare spazio anche a loro”.
“Benvenuti a teatro. Dove tutto è finto ma niente è falso”, questo affermava Gigi Proietti, recentemente scomparso. E’ così, secondo te? Tu, d’altro canto, hai fatto anche teatro”.
“Con Proietti ho fatto purtroppo solo un provino ed è stato molto divertente. Si trattava di “Romeo e Giulietta”, mi preparai solo per il ruolo del protagonista, ma il maestro mi disse che sarei stato un Mercuzio perfetto. Sono d’accorto con quanto diceva. La finzione è la costruzione di ciò che non è reale, mentre la falsità è la mancanza di onestà ed invece quest’ultima è fondamentale in questo mestiere”.
Cosa significa esser attore oggi?
“Ho provato a rinunciarvi ma non ci sono mai riuscito. A 16 anni mi piaceva essere al centro dell’attenzione. Crescendo sono sempre stato un attento osservatore della realtà che mi circonda, oltre che molto curioso di vivere le vite di altri. Ai tempi del Covid -19, mi invento sempre ma non rinuncio mai al mio sogno che è anche il mio lavoro”.
Due fiction che sono state campioni d’incassi sono state “Un medico in famiglia” e “I Medici”. Due serie tv che hanno tenuto incollati spettatori di più generazioni. Qual è stata la loro forza?
“La prima è una vera e propria istituzione della televisione italiana, la seconda è un prodotto internazionale, recitato in inglese da un cast internazionale con un’importante storia italiana”.
Hai partecipato anche a “Bella Addormentata”, il film di Marco Bellocchio in cui viene affrontato il difficile tema dell’eutanasia. Si tratta di un film che cerca di raccontare la bellezza della vita e anche il diritto di lasciarsi andare. Come ti rapporti a questa dicotomia piuttosto forte?
“Siamo esseri umani, non macchine. Credo che debba esistere una sana democraticità, ovvero la libertà di scegliere cosa si vuole. Non saprei dire se essere favorevole all’eutanasia o meno, ma ritengo che ognuno di noi debba avere il diritto di scegliere”.
Sei stato anche tra i protagonisti di un grande cast in “Ocean’s Twelve” per la regia di S. Soderbergh. Com’è il cinema americano rispetto alla nostra settima arte?
“Loro hanno il tempo e la voglia di spendere soldi per i dettagli, i particolari. Non si fermano mai alla prima scrittura, alla prima regia, al primo ciak. Non si considerano mai arrivati, non si fermano mai. In Italia c’è qualcuno che, secondo me, sta riuscendo ad avvicinarsi a loro. Penso, ad esempio, a Sydney Sibilia, Gabriele Mainetti, Matteo Rovere, Antonio Capuano, Alessandro D’Alatri e Ivan Silvestrini”.
I tuoi prossimi progetti?
“‘Leonardo’, una serie tv su Rai1 con un cast internazionale, “Il Boemo” di Petr Vaclav e “Benvenuti in casa Esposito” di Gianluca Ansanelli”.