L’abbiamo visto nel piccolo schermo in fiction come “Che Dio ci aiuti” e “La porta rossa“, ma quello che colpisce di lui è la sua vivace semplicità che lo contraddistingue da tutti gli altri. Pierpaolo Spollon, classe 1989, è un vero e proprio astro nascente della recitazione: nel 2008 aprono i provini per il film “La giusta distanza”. Non viene scelto, ma il destino vuole che il suo provino venga visto dal regista Alex Infascelli che lo prende a recitare nella miniserie televisiva “Nel nome del male“. Da quel momento non si è più fermato. Ora lo vediamo ne “L’allieva” e in  “DOC – Nelle tue mani”. Ne abbiamo parlato con lui.

Pierpaolo, ti stiamo vedendo in queste settimane nella seconda parte di “DOC – Nelle tue mani”. Cosa ti ha portato a dire di sì a questo progetto?

“Dietro la macchina da presa (nella prima parte soprattutto) c’era Jan Michelini: un regista giovane, con idee non comuni e con una grandissima forza nel portarle avanti. Dopo il provino, mi ha spiegato in maniera piuttosto dettagliata il personaggio. Un altro punto di forza è stata la sceneggiatura, molto ben scritta. Infine, il cast era piuttosto alto: molti dei colleghi non li conoscevo ma sin da subito ho capito che questa fiction sarebbe stata una vera e propria bomba, in quanto “DOC – Nelle tue mani” è un progetto molto coraggioso”.

Nella serie tv sei Riccardo Bonvegna. Come ci descriveresti questo specializzando al primo anno di medicina interna?

“E’ un combattente. E’ un ragazzo velatamente entusiasta, una forza della natura, ma è un giovane che ha rallentato la sua corsa perché deve fare i conti con quanto la vita gli ha presentato. Ha un’enorme energia umana; ha la necessità di stare in mezzo alla gente. Deve costantemente confrontarsi con lo sguardo incuriosito della gente per via della sua protesi ad una gamba, dal ginocchio in giù. Pian piano ha accettato la sua diversa ‘normalità’”.

Che tipo di rapporto ha con i suoi pazienti?

“Me lo sono chiesto anch’io. Come può sentirsi un medico che prima è stato un paziente? Lui sa cosa si prova a stare dall’altra parte della barricata; ha pienamente coscienza che i pazienti non sono numeri, bensì persone. E’ empatico e sa metterli a proprio agio”.

Come ti sei preparato per questo ruolo?

“Inizialmente sono andato alla ricerca di un ragazzo che di fatto avesse le stesse problematiche fisiche del personaggio che dovevo interpretare; una volta trovato, ho trascorso più tempo possibile per comprendere al meglio la sua esistenza. La produzione inoltre ci ha dato la possibilità di trascorrere tempo all’interno del Gemelli di Roma per stare in contatto con il primario, i pazienti e gli infermieri e respirare la stessa aria”.

Riccardo e Andrea Fanti che rapporto hanno?

“Un rapporto quasi padre – figlio. E’ il suo mentore, ovvero colui che cerca di indicargli la strada migliore da intraprendere. Fanti è colui che gli ha amputato la gamba ma è anche colui che cerca in un certo senso di restituirgliela, spronandolo sempre”.

Questa fiction, durante e dopo il lockdown, ha avuto e sta avendo un ottimo successo. Perché secondo te?

“Ci sono state fatte alcune critiche anche se non tantissime. Sicuramente il dover stare tutti chiusi in casa ci ha favorito ma non credo sia sufficiente per decretare il successo di un prodotto televisivo. In scena c’è un medical con una forte dimensione umana, è questo ad aver fatto la differenza. Questa fiction è stata venduta negli Stati Uniti d’America”.

Siamo in uno dei periodi più difficili della storia. Tu come lo stai vivendo, alla luce anche del tuo ruolo in  “DOC – Nelle tue mani”?

“Ancora purtroppo non è finita: ancora oggi con i contagi in aumento, medici e politici stanno tentando di tracciare linee guida il più possibile idonee a quanto stiamo vivendo. Questa situazione ci mette a dura prova psicologicamente. Sono un animale sociale: non sono favorevole a un lockdown generalizzato ma preferisco seguire le limitazioni che ci sono state date. E’ un momento di cambiamento e come tale dobbiamo adattarci”. 

Ti stiamo vedendo anche nella terza stagione di un’altra fiction molto seguita, ovvero “L’allieva” in cui interpreti Marco. In questa stagione Marco si trova dinnanzi a delle scelte da fare. Quali?

“E’ un ragazzo spensierato che parte per inseguire il sogno di fare il fotografo: trova il coraggio forse nel momento meno adatto ma questa sua scelta lo farà tornare molto più sereno ed appagato”.

Sei stato tra i protagonisti anche de “La porta rossa” vestendo i panni di Philip, un personaggio fortemente umano. Cosa ti ha lasciato?

“L’ho adorato; ho insistito io per farlo con la mia agente. Ci ho creduto molto perché erra una fiction diversa dalle altre. E’ un ventenne piuttosto chiuso in se stesso”. 

Quale significato ha per te la parola emozione?

“Sono fatto per vivere e scambiare emozioni. Amo la malinconia perché permette di fermarti e per ricaricarti. Sono schiavo delle emozioni. Quando mi emoziono vuol dire che sto andando nella giusta direzione. E’ fondamentale ma, crescendo, ho imparato a coglierne le possibili sfumature”.

Cosa significa essere attore per te?

“Sono consapevole di essere un privilegiato e cerco di restituire quello che mi viene dato. Mi rende felice e divertito ma ha una funzione sociale importantissima. L’attore è un amico delle persone perché permette loro di porsi costantemente delle domande, entrando nelle vite più diverse”.

I tuoi prossimi progetti?

“Vite in fuga” di Luca Ribuoli per Rai1 e “Leonardo”, oltre che un cortometraggio di Stefano Pesce girato in Veneto.