Nonostante la sua giovane età, ha avuto il privilegio di lavorare con due mostri sacri, quali Tony Servillo e Andrea Camilleri, nel doppiaggio dell’orso Tonio nella serie “La famosa invasione degli orsi in Sicilia”, tratta dall’opera di Dino Buzzati. Ha partecipato a progetti di successo come “Un passo dal cielo”, “Don Matteo”, “La strada di casa”, “Crozza nel Paese delle meraviglie”, “Camera Cafe” e “Summertime”. Oggi cerchiamo di conoscere meglio Alberto Malanchino, milanese di nascita, di padre italiano e madre del Burkina Faso che vedremo su Rai1 nella seconda parte di “Doc – Nelle tue mani” con Luca Argentero.
Alberto, avevate interrotto le riprese per il Covid. Com’è stato tornare sul set?
“E’ stato molto bello. E’ stato molto emozionante rivedere tutti i miei compagni di set, ma soprattutto vedere che tutti stavano bene. Ci ha riempito il cuore il fatto che questa sia stata, durante il lockdown, una fiction molto seguita. Ci auguriamo che lo sia anche in questa seconda parte”.
Interpreti il ruolo di Gabriel Kidane, un medico tirocinante. Com’è il tuo personaggio?
“E’ un ragazzo di origini etiope. Nato in Etiopia, ma cresciuto in Italia. È al suo ultimo anno di specializzazione in Medicina Interna. E’ molto ambizioso e intraprendente, apparentemente molto severo ma molto sensibile in realtà: questo contrasto caratteriale è la sua forza”.
Quale significato ha per Gabriel la parola umanità?
“E’ empatico. Ha la possibilità di essere molto vicino ai sentimenti dei pazienti. Di fatto, all’interno di un ospedale, i medici, oltre alla loro grande professionalità, si spogliano dell’immagine pubblica per avvicinarsi anche al cuore dei pazienti. Gabriel fa esattamente così”.
Vesti il camice bianco, come ti sei preparato per questo ruolo?
“Abbiamo avuto la possibilità di seguire dei medici veri durante un periodo di training, l’estate scorsa al Policlinico Gemelli di Roma. Abbiamo affiancato la dottoressa Barbara Fossati, insieme al loro gruppo di specializzandi. È stato molto interessante, perché abbiamo visto come interagivano i medici con i pazienti. Abbiamo potuto osservare la loro quotidianità sul campo, nelle loro dinamiche di gerarchia”.
Hai lavorato, affiancando Luca Argentero: com’è stato?
“E’ un grande professionista. Fin da subito, c’è stata una bella sintonia e armonia. Sul set, non sono mai mancati consigli, momenti di leggerezza e di svago. Mi sono trovato benissimo”.
Cosa ti ha lasciato “Doc – Nelle tue mani”?
“Mi ha permesso di comprendere meglio il mondo dei camici bianchi, il loro punto di vista, oltre all’infinita stima nei loro riguardi”.
Stiamo vivendo uno dei periodi più difficili della storia. Tu come lo stai affrontando? E il lockdown?
“A Roma, nei mesi scorsi stavamo girando Doc e abbiamo dovuto interrompere bruscamente, anche se eravamo a buon punto. Mi sono riappropriato di momenti che erano passati in secondo piano: ho ricominciato a scrivere, a suonare il basso elettrico e anche a riflettere un po’ su quanto stava accadendo. Tutta questa situazione ha cambiato la percezione di vedere le persone. Quello che mi mancava era la campagna e i suoi profumi. Ora c’è più attenzione a godersi gli attimi“.
Hai sempre voluto recitare?
“Direi di sì, anche se maggior consapevolezza c’è stata alle superiori. Mia mamma è sempre stata un’appassionata di cinema americano, francese e italiano, motivo per cui la recitazione e il doppiaggio mi hanno sempre affascinato. Ho frequentato ragioneria ma ho capito che quella non sarebbe stata la mia strada. Una mia professoressa di diritto ci portò a teatro a vedere “Le allegre comari di Windsor” e da lì è scoccata la scintilla”.
L’Italia e il Burkina Faso sono i tuoi due posti che immagino chiamerai casa. Come li definiresti?
“Sono nato e cresciuto in Italia che la considero la mia prima casa. E’ un Paese con un bacino culturale enorme, oltre che innovativo. Il Burkina Faso è un’esplosione artistica e culturale, ma con una storia diversa dalla nostra”.
I tuoi prossimi progetti?
“Sto girando la seconda stagione di “Summertime”. Per il resto, c’è già qualcosa che bolle in pentola”.