In una città del nord-est vive Simone Segre, affermato chirurgo di origine ebraica: una vita tranquilla, un appartamento elegante e nessun legame con il passato. Un giorno si trova a soccorrere un uomo vittima di un pirata della strada, ma quando scopre sul suo petto un tatuaggio nazista, lo abbandona al suo destino. Preso dai sensi di colpa rintraccia la famiglia dell’uomo. Marica la figlia maggiore, Marcello adolescente contagiato dal seme dell’odio razziale; il piccolo Paolo. Verrà la notte in cui Marica busserà alla porta di Simone, presentandogli inconsapevolmente il conto da pagare. Uscirà nelle sale il 10 settembre “Non odiare“, il film di Mauro Mancini con un Alessandro Gassmann molto intenso, in concorso alla settimana della critica a Venezia 77. «La mia generazione ha molte responsabilità nei confronti della generazione successiva e con il suo titolo programmatico propone un ulteriore comandamento. Questo Paese ha vissuto la dittatura perché ha sottovalutato il problema – spiega Gassmann – Dato che abbiamo il vantaggio di averlo già vissuto abbiamo un’arma in più, quindi sarebbe raccomandabile almeno di non essere indifferenti». E’ un imperativo, quello del titolo, quanto mai attuale in un’epoca in cui la tensione sociale è alle stelle e si affida la propria identità a tifoserie preconfezionate. Non odiare è l’undicesimo comandamento, per credenti e laici indifferentemente. Il film nasce da un fatto di cronaca del 2010 casualmente incrociato per allargarsi a “dilemma morale universale”, dentro la Storia dell’Uomo ma fuori da cornici spazio/temporali precise. Mancini resta davanti ai suoi personaggi senza mai giudicarli, tentando invece di trovare quella mescolanza di Bene/Male insita in ciascuno, perché come giustamente osserva le contraddizioni della vita rimangono, e fin dalla scrittura abbiamo cercato di essere onesti su questo punto.E’ un dramma dal rigore impeccabile, denso di simbolismo ma privo di ornamenti, che va diritto al cuore e alla testa. Prodotto da Mario Mazzarotto.