Un attico nel cuore di Roma. Un’attrice ottantenne 
e un male improvviso.
L’idea che non sarà mai come prima. E l’arrivo improvviso di quell’uomo. Perdersi per ritrovarsi. I sogni, le gioie e i dolori sono i segni ineluttabili della nostra esistenza. Antonio e Margaret sanno che l’amore vive per sempre, oltre la vita stessa. Di questo parla “Tutta una vita“, il libro di Simone Petralia, attore e regista e questa volta nelle vesti di scrittore. Con lui abbiamo parlato del romanzo, dei temi che vengono affrontati e del suo percorso artistico.

Simone, partiamo dalla tua ultima fatica, ovvero “Tutta una vita”, com’è nata l’idea di scrivere questo libro?

“Raccontare una storia attraverso un romanzo è stata una novità, ma anche una grande scoperta. Avevo tutto in testa e non è stato difficile procedere con la scrittura. Quando ho ultimato la prima stesura ho capito che avevo tra le mani una storia che mi rispecchiava tantissimo. Ricordare il passato è una cosa che tormenta un po’ tutti ed è questo che mi ha spinto a creare il rapporto tra i due protagonisti”.

Ci spieghi il titolo?

“Antonio e Margaret hanno vissuto tutta una vita. Quando si rincontrano fanno i conti con la realtà, ma nonostante l’età devono ancora imparare a vivere con le loro incertezze. Voler controllare tutto ammala, lasciare andare guarisce. E’ un cerchio che si chiude”.

Protagonisti sono Antonio e Margaret, ci spieghi chi sono?

“Sono due esseri umani che si rincontrano dopo quarant’anni di separazione. Si ritrovano e riscoprono quell’amore che li ha uniti tanto tempo prima. Da giovani hanno avuto un bambino, ma poi si sono allontanati e hanno vissuto la loro vita. Lei è diventata un’ attrice di successo, lui è rimasto un regista insoddisfatto. Entrambi hanno seguito la propria strada, ma non hanno mai smesso di amarsi”.

Come mai avere al centro della tua storia due ottantenni?

“Successi, rimorsi, gioie, paure e soddisfazioni sono il bagaglio che ci portiamo dentro per sempre. Il ricordo dei bei momenti vissuti mi ha portato a immaginare la mia vita a quando avrò ottant’anni. Antonio è un uomo saggio e sensibile ed è consapevole dei propri errori. Da giovane sognava a occhi aperti, era un regista talentuoso, ma ha sprecato la sua esistenza dietro ai rimpianti e ai sensi di colpa. Nella vita tutto torna e quando meno te lo aspetti arriva un cambiamento. Facciamo tutti parte di un disegno e il caso non esiste”.

Leggendo il libro, emergono due contrasti: quello della gioia e del dolore, quello della vita e della morte. Cosa rappresentano per i due protagonisti della storia?

“La vita è bella perché ci lascia emozionare. Che siano gioie o dolori. Non esisterebbe l’una senza l’altra. E’ il contrasto che rende tutto meravigliosamente esatto. Riconosciamo la felicità solo dopo averla persa. Antonio dice che tutto ciò che finisce, muore. Come in un film, finisce“.

E per te?

“Sono d’accordo con il protagonista. Ci sono cose che semplicemente accadono, come un sorriso, una lacrima.
 Accadono e basta.
 C’è un inizio e c’è una fine”.

Sei, oltre che scrittore, regista. Cosa significa esserlo?

“Personalmente non noto molta differenza a livello creativo. Quando ho in mente una bella storia la lascio andare, come un fiume in piena. Ma fare il regista è molto più faticoso. Sono un emergente e per prima cosa bisogna trovare produttori interessati al progetto. Il cinema in Italia non lascia molto spazio ai giovani e per questo bisogna credere tanto in quello che si fa. Se si molla la presa è la fine. E’ un consiglio per tutti i giovani, se si crede in quello che si fa non bisogna mai arrendersi. Superato questo, si deve pensare a tutto quello che apparirà su uno schermo: attori, ambientazione, luci… devo imporre un’immagine per come io l’ho pensata, mentre scrivere una storia con parole impresse su un foglio lascia tutto all’immaginazione”.

Sei stato assistente alla regia di Pupi Avati per la fiction TV Rai “Un matrimonio”, cos’hai imparato dal maestro?

“Pupi Avati è uno dei più grandi registi italiani. Da lui ho imparato ad ascoltare gli attori. Non si tratta di dirigerli, ma guidarli a emozionare. Non tutti i registi sono in grado di farlo”.

Hai diretto il film “Cenere”, cosa ti ha lasciato quel set?

“E’ stata la mia esperienza da regista in un film. Mi ha lasciato il ricordo felice della prima volta. Eravamo un gruppo di ragazzi con grandi sogni”.

I tuoi prossimi progetti?

“Ho in mente di fare un altro film. Collaboro con Giuseppe Lepore, produttore cinematografico ed editore del mio romanzo. E’ una persona che crede in quello che faccio e sono certo che insieme gireremo presto un gran bel film”.

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Giulia Farneti
Quando la musica, il cinema, il teatro e la televisione si uniscono al giornalismo dando vita a una passione costante per l'arte, lo spettacolo è inevitabile. Dopo aver collaborato con il quotidiano Infooggi (redazione siciliana) occupandosi di criminalità organizzata, ha aperto anche la rubrica settimanale “Così è (se gli pare)” di cui era anche responsabile con Alessandro Bertolucci. Ha collaborato con i quotidiani La Nostra Voce, Resto al Sud e con il mensile IN Magazine. Attualmente collabora con il Corriere Romagna che ha sede a Rimini, con il mensile PrimaFila Magazine che si occupa di cinema e libri, ed in ultimo ma non per importanza, con Showinair.news, l'attuale Testata Giornalistica, con articoli e interviste inedite a personaggi dello spettacolo del cinema, televisione, teatro, musica e articoli di cultura.