Sogno, speranza, parole, musica e tante risate, tutto unito in una straordinaria performance teatrale. Paolo Rossi, il più imprevedibile e incisivo degli attori comici italiani, qui presente non solo nella veste di autore, ma anche di regista e interprete, prosegue il suo viaggio attorno al pianeta Moliere con “Il re anarchico e i fuorilegge di Versailles”.  Paolo Rossi è sulla scena con Renato Avallone, Marianna Folli, Marco Ripoldi, Chiara Tomei, Francesca Astrei, Caterina Gabanella, con le musiche eseguite dal vivo da Emanuele Dall’Aquila e Alex Orciari, Uno spettacolo che racconta la visione teatrale di un autore-attore, maestro dell’improvvisazione, sempre in bilico tra il dentro e il fuori scena, tra il personaggio, l’attore e la persona. E’ la storia di un sogno, di un varietà onirico, di diversi numeri e di diversi livelli di espressioni artistiche che spaziano dalla prosa alla musica. Ancora una volta si incrociano con le visioni del tempo presente, la storia del conflitto tra il potere e i fuorilegge, intesi come coloro che vivono ai margini della strada e non hanno voce, in bilico tra la scena e la vita, tra il teatro e il potere. Ne abbiamo parlato proprio con Paolo Rossi.

Rossi, per quale ragione il teatro di Moliere è diventato un punto di osservazione per lei?
“E’ nel mio stile prendere classici della cultura alta e farne racconti della cultura popolare, esattamente come prendere una barzelletta e trasformarla in qualcosa di più erudito. Moliere, in particolare, si avvicina moltissimo al mio metodo di lavoro con gli attori e su me stesso, perché i confini tra chi siamo e cosa portiamo in scena sono molto sottili”.

Nelle sue performance lei è profondamente legato al tempo in cui viviamo. In che modo riesce ad essere legato ad un autore che ci lasciato centinaia di anni fa?
“Potremmo definirci una coppia aperta io e Moliere: il nostro, più che un legame, è un’ispirazione. Oggi il teatro si rinnova e si ri-inventa continuamente, motivi per cui nascono accoppiamenti piuttosto suggestivi”.

Il Fuorilegge è colui che vive ai margini della strada senza avere diritto di parola. Qual è invece il ruolo del Re anarchico?
“La mediocrità è parte integrante dell’esistenza, anche il teatro non ne è esente. Il fuorilegge è oggi anche l’attore. Il re anarchico è legato all’improvvisazione, ovvero un insieme di regole che poi danno vita al caos. L’anarchia, quindi, viene comunque guidata da un capo”.

Il sogno quale dimensione ha in questo spettacolo?
“E’ sempre molto presente come spazi di vita vera, anche se sono ancora da decidere quali sono quelli vissuti e quelli sognati. Secondo me, il miglior stato creativo è nel dormiveglia”.

Emerge tanta improvvisazione in questo spettacolo che porta in scena per il secondo anno, è ancora così?
“Assolutamente sì, perché ogni volta cambia, non è mai uguale. L’improvvisazione viene spesso spacciata per una dote estemporanea. Sicuramente è un talento che uno può avere o non avere, però è una disciplina quasi militare. Richiede un’accurata preparazione prima di andare in scena, non è mai fatta a caso perché è una vera e propria arte”.

In che modo le visioni del tempo presente si incrociano con la storia del conflitto tra il potere e i fuorilegge?
“Accade spesso che la cultura popolare sia stata una specie di ponte tra i margini e la società cosiddetta “perbene”, non solo per un folklorismo molto banale di cui è costituita, ma perché uno viene a teatro e ha la possibilità non solo di ridere e di passare una piacevole serata, ma anche di fare un piccolo viaggio dentro se stesso, è un  mettersi costantemente in discussione. Questo dà la possibilità di capire che spesso i buoni sognano una cosa, i cattivi invece la fanno, per fare un esempio”.

Cosa si deve aspettare il pubblico che verrà a vederla?
“Deve essere pronto a tutto, vi aspetto”.