Il 16 gennaio, arriverà nei cinema italiani “Jojo Rabbit“, con la benedizione di ben 6 candidature agli Oscar: miglior film, sceneggiatura non originale, miglior attrice non protagonista (Scarlett Johansson, doppiamente candidata), montaggio, scenografia e costumi. Un risultato davvero molto importante – anche se nessuna di queste si dovesse concretizzare – per un outsider che ha conquistato Hollywood col suo originale senso dell’umorismo, la sua intelligenza e la sua follia.
Siamo in Germania, durante gli anni della dittatura che precedettero la Seconda Guerra Mondiale. Jojo Betzler ha 10 anni e molte difficoltà relazionali con i suoi coetanei. I suoi compagni lo chiamano Jojo “Rabbit” (coniglio) per sottolineare, crudelmente, le sue difficoltà. Jojo ha, come amico immaginario, Adolf Hitler, che rappresenta per lui un’immagine di riferimento. Un giorno, Jojo scopre che la madre nasconde in soffitta Elsa, una ragazza ebrea. Tra Jojo e Elsa nasce un’amicizia che porterà il ragazzino a mettere in discussione la bontà degli insegnamenti sul nazismo che riceve.
Taika Waititi, reduce dal successo di “Thor – Ragnarok” e in attesa di continuare la saga del dio norreno della Marvel in “Thor: Love and Thunder”, scrive e dirige una commedia grottesca. Waititi, che è un ebreo Māori, ha giustificato in un’intervista la sua scelta di interpretare personalmente il terribile personaggio di Hitler nel film come il suo modo personale di mandare il dittatore “a quel paese”, umiliandolo attraverso la sua commedia dell’assurdo.
«Sapevo di non voler fare un film drammatico sull’odio e sul pregiudizio – ha dichiarato – perché siamo troppo abituati ormai a quel genere. Quando qualcosa sembra un po’ troppo facile, mi piace immetterci del caos. Ho sempre creduto che la commedia sia il modo migliore per far sentire il pubblico a suo agio. Perciò, in JoJo Rabbit, coinvolgo il pubblico con la risata, e una volta che ha abbassato la guardia, inizio a inserirci queste piccole dosi di dramma che assumono un peso più rilevante».