Lo vediamo in scena nei migliori teatri italiani con “Un tram che si chiama Desiderio” di Tennessee Williams e che valse al drammaturgo il Premio Pulitzer. Un titolo iconico e fondamentale per la letteratura del ventesimo secolo. Già nel 1947 Williams presentò un ritratto graffiante della società americana a lui contemporanea prendendo come spunto un nucleo familiare di New Orleans dove spesso l’omertà celava violenza sulle donne, sesso, omosessualità, disagio psichico e vulnerabilità delle figure femminili che però avevano anche il compito di mantenere le apparenze della famiglia con estrema falsità. Tutte tematiche riportabili anche al mondo di oggi ma fortunatamente con una visione diversa da parte della società. Uno spettacolo della durata di due ore e mezzo senza intervallo per non interromperne il ritmo narrativo che vede tra i protagonisti un eccellente Daniele Pecci, un volto già noto al grande pubblico. Schivo e riservato nella vita di tutti i giorni, l’artista ancora una volta non delude per la sua intensa interpretazione. Non solo teatro però, vedremo infatti Pecci anche nell’attesissima terza stagione de “I Medici 3 – Nel nome della famiglia“. A partire dal 2 dicembre, in prima serata su Rai1, tornerà la serie tv incentrata sulle vicende della potente famiglia fiorentina vissuta durante il Rinascimento. L’attore romano vestirà i panni di Ludovico il Moro. Dello spettacolo e dell’ingresso nella fiction internazionale molto amata ne abbiamo parlato proprio con lui.

E’ in scena con “Un tram che si chiama Desiderio” , per quali motivi hai detto sì a questo progetto teatrale?
“E’ sicuramente un grande testo e il mio personaggio stuzzica la fantasia di un attore, oltre al fatto che in quel periodo ero senza lavoro”.

Ci spieghi il titolo?
“Pare che nella New Orleans del dopoguerra circolasse un tram che si chiamava Desiderio e che l’autore del testo prendeva. Proprio dal nome di questo mezzo di trasporto lui ha scritto un’opera che si chiama appunto Desiderio, soprattutto carnale, sessuale. Ha ambientato lì la sua storia costituita da una sessualità morbosa, da liquori, da caldo, da umido, da una commistione tra il bene e il male, tra sporcizia e pulizia e da una serie di contrasti molto forti. Ne è uscito un dramma molto denso e ricco sfumature e di sentimenti”.

Lei interpreta Stanley, chi è?
“E’ un uomo molto rude, violento, duro. All’interno dell’opera lo troviamo cattivissimo perché si incontra con una persona altrettanto dura, seppur in tutt’altro modo. E’ un uomo che quasi porrà fine alla sua esistenza. Sul palcoscenico ho tentato di attribuirgli un aspetto auto ironico”.

Qual è stata e continua ad essere la forza di Tennessee Williams, il drammaturgo che scrisse quest’opera?
“Sicuramente la scelta di tematiche che riguardano un essere umano profondamente, che sono universali, oltre alla grande capacità nella scrittura, soprattutto nel personaggio di Blanche che in attimi di sincerità dice parole molto belle”.

Lei e il teatro: un’amore indissolubile?
“Assolutamente sì: il mio è un grande amore, anche se ultimamente sono anche ricambiato dal teatro stesso. Cerco di praticarlo il più possibile”.

Lei veste i panni di Ludovico il Moro nell’attesissima terza stagione de “I Medici”, ma come si è preparato per impersonarlo?
“Innanzitutto ho cercato di capire chi fosse storicamente, anche se di fatto sono informazioni non così fondamenti all’interno di un racconto che si chiama fiction. Ho studiato poi le poche scene in cui dovevo impersonarlo; trucco e parrucco hanno fatto il resto”.

Potremmo dire che era “croce e delizia” del Ducato di Milano e dell’Italia rinascimentale?
“E’ stato un grande mecenate delle arti. Aveva capito benissimo l’importanza dell’arte nella vita pubblica di allora che poi sarebbe diventata storia. Era tuttavia un tremendo uomo politico, commettendo moltissimi errori, facendo anche uccidere il nipote”.